CATANZARO «Sapevo che l’Italia protegge». A dirlo, secondo quanto si è appreso, è stato uno dei superstiti del naufragio di Steccato di Cutro sentito dal gip del Tribunale dei minorenni di Catanzaro, Donatella Garcea, nell’incidente probatorio per il presunto scafista 17enne.
L’uomo ha anche riferito che gli scafisti lo avevano rassicurato che una volta giunti nelle acque italiane i migranti sarebbero stati salvati.
Il superstite ha poi detto che, una volta giunto a riva, c’erano solo due carabinieri ed un pescatore. Inoltre ha riferito di avere sempre viaggiato sotto coperta e di non essersi reso conto delle condizioni del mare. E poi, con l’avvicinarsi alla riva, di essersi molto preoccupato.
«Il quarto giorno il mare è diventato brutto. Abbiamo pregato e basta. Dopo l’urto ognuno ha cercato di salvasi da solo, aggrappandosi a dei pezzi di legno della barca». È il racconto di un altro dei superstiti del naufragio di Steccato di Cutro ascoltato oggi all’incidente probatorio davanti ai giudici del Tribunale dei minorenni di Catanzaro che devono stabilire la responsabilità del 17enne pakistano indicato come uno degli scafisti. «Prima di partire – ha aggiunto il teste rispondendo alle domande del procuratore de minori e deli avvocati – gli scafisti non ci hanno detto se l’arrivo sarebbe stato sicuro o insicuro, sulla spiaggia o in un porto. Ma noi contavamo sul fatto che appena giunti nelle acque italiane ci avrebbero salvato. Nessuno degli scafisti ha aiutato noi passeggeri naufraghi dopo l’urto, c’erano solo due carabinieri in spiaggia che aiutavano. Anche io ho salvato persone. Ho nuotato dieci, dodici minuti per arrivare a terra».
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