REGGIO CALABRIA L’arresto di Giuseppe Crea è avvenuto il 29 gennaio 2016 in un bunker a Maropati. Si nascondeva assieme a Giuseppe Ferraro, altra primula rossa storica della ‘ndrangheta, in una struttura di metallo. I due erano in buona compagnia: un vero e proprio arsenale di armi sequestrato dagli agenti della Squadra mobile di Reggio Calabria e dello Sco. I poliziotti si sono aperti un varco nella vegetazione del profondo Aspromonte e li hanno sorpresi nel sonno. Nel nascondiglio c’erano resti di ostriche e una decina di fucili di vario genere, un mitra e parecchie pistole. Il covo era, probabilmente, uno degli arsenali delle cosche di riferimento dei due latitanti.
L’inchiesta “Hybris” della Dda di Reggio Calabria svela che parte della latitanza di Crea sarebbe stata possibile grazie al sostegno della cosca Piromalli. Il racconto emerge dalle parole di Giuseppe Ferraro (indagato nell’inchiesta e omonimo del latitante) intercettate dagli investigatori. L’ipotesi che le cosche di Gioia Tauro abbiano aiutato il boss nella fuga non è nuova: già nel procedimento “Provvidenza”, appunta il gip, «era emerso che il gruppo Mazzaferro-Trimboli, considerato “satellite” della cosca Piromalli, aveva supportato la latitanza di Crea, sebbene all’esito del primo grado solo Teodoro Mazzaferro» sia stato condannato per questo.
Ferraro, nell’intercettazione, racconta «di aver ospitato, nel periodo della latitanza, Crea Giuseppe – di cui peraltro esaltava le caratteristiche umane e criminali – supportandolo nelle incombenze quotidiane». La Dda di Reggio Calabria non ha avanzato richieste cautelari per questo capo d’imputazione, ma «il fatto appare rilevante in ottica associativa» perché dimostrerebbe l’«esistenza di una organizzazione che possa contare su una filiera di relazioni fidate e collaudate, tali da garantire supporto ai latitanti, supporto che spesso riguarda, nel rispetto del principio di mutuo soccorso, anche soggetti appartenenti ad altre cosche».
Il 21 febbraio 2021, Ferraro e un uomo non indagato il cui fratello è stato «in passato» killer della cosca Molè-Piromalli commentano «le alleanze esistenti con la cosca Crea» di Rizziconi. È Ferraro a spiegare di aver «ospitato uno dei capi di quel sodalizio mafioso, durante il periodo di latitanza». Lo chiama “Peppe”, «fornendo l’ulteriore elemento individualizzante che il Peppe era fratello di quello biondo – identificato in Teodoro Crea detto “u biondu” per le sue caratteristiche fisiche». Giuseppe Crea, segnala il gip, viene, «da entrambi, esaltato in tutte le sue qualità mafiose tanto da essere definito “di un altro pianeta”». Ancora Ferraro racconta «di aver fornito spesso supporto logistico a Crea, quando questi doveva incontrare il barbiere di fiducia». «E “scarpa” mi mandava – dice all’amico – … faceva, questa sera che fai? Va bene, io capivo, no? E gli dicevo, sì digli che sono libero, non glielo dicevo nemmeno a quello che gli portava l’imbasciata e lui …inc… venite qui prendevamo …inc… . Veniva il barbiere …».
Non c’è soltanto la logistica nel rapporto tra i due. L’indagato nell’inchiesta “Hybris” spiega che «questi incontri terminavano con lunghe giocate a carte». «Nottate giocando a carte e perdeva», dice. Addirittura «Giuseppe Crea non aveva mai avuto alcuna remora a riconoscere le sconfitte di gioco». Il boss sapeva perdere, caratteristica evidentemente non troppo comune tra i capiclan. «Se domani sera perdi, ha detto, me li prendo, ho detto, no? Me li tengo, ha detto, e stasera ho perso e te li … ve li dovete tenere tutti». Così Ferraro riassume il “rapporto di gioco” con il latitante. Al quale tuttavia avrebbe sempre chiesto «il permesso di poter trattenere la somma vinta, dichiarando di essersi reso sempre disponibile a restituire le vincite». Cortesie per gli ospiti, si direbbe. Se sono boss latitanti vale doppio. (p.petrasso@corrierecal.it)
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