COSENZA E’ stato uno dei pilastri del “Milan dei campioni” targato Silvio Berlusconi. Un gruppo affiatato di stelle che scendeva in campo quasi con la certezza di portare a casa il risultato. Tatticamente e tecnicamente una delle migliori squadre allestite nell’era del presidente più vincente della storia del calcio italiano. Fulcro centrale di quella macchina perfetta un calabrese: Rino Gattuso, storico numero 8 rossonero e oggi allenatore. L’ex capitano del Milan affida al Corriere della Calabria il ricordo del presidente Berlusconi scomparso, questa mattina, a Milano. «L’ho conosciuto la prima volta nel corso del mio primo anno al Milan, era la stagione 99-2000. Già a quei tempi portavo un po’ di barba e i capelli lunghi e quando scattammo le prime foto fu un disastro», sorride Gattuso. «Pensa che mi ha fatto fare tipo 15 foto perché non andava mai bene. Questo era Silvio Berlusconi». «Mi voleva sempre con barba e capelli corti»
L’affetto nei confronti dei dipendenti e dei suoi calciatori. Dai più talentuosi a chi come Gattuso preferiva grinta e pressing asfissiante a colpi di tacco e dribbling, l’ex presidente del Milan non lesinava consigli, suggerimenti e parole di conforto nel momento del bisogno. «Era un uomo carismatico e si ricordava sempre della mia famiglia, mi vedeva se andasse tutto bene a casa, come stessero mamma Costanza e papà Franco. Conosceva il nome delle mie sorelle». Di carisma anche Gattuso ne ha da vendere, in campo gli avversari erano intimiditi di fronte la dinamicità del centrocampista tutto muscoli e fatica. Uno di quelli che rincorre per tutto il campo e per 90 minuti gli avversari, che ruba i palloni, che consente ai più talentuosi di prendersi un attimo di pausa. Rino era instancabile e infaticabile, proprio come Berlusconi. Due caratteri estremamente forti, ma dinanzi al Cavaliere, il campione del mondo calabrese si scioglieva. «Nella mia vita – e non è una frase fatta – non è mai capitato che abbassi lo sguardo, io guardo tutti negli occhi. E’ capitato solo con Silvio Berlusconi, quando lo incrociavo percepivo forte il suo carisma, la sua personalità e questo mi capitava solo con lui».
Erano gli anno del grande Milan, degli acquisti fuori mercato, delle stelle, delle coppe e dei campioni. Ma il club rossonero era anche esempio di organizzazione, una «famiglia» in grado di accogliere tutti. «Non c’è dubbio – dice Gattuso – l’organizzazione era perfetta. Arrivavano giocatori con alle spalle trofei vinti e una carriera da sogno, ma il vero segreto è che al Milan si stava bene.
Milanello era una macchina impeccabile e penso che sia stato stato merito di Berlusconi. Noi dovevamo indossare solo gli scarpini la domenica, al resto pensava lui. Era un club strutturato e all’avanguardia e non ci mancava veramente nulla».
Quando ha sentito Silvio Berlusconi l’ultima volta? «Ci siamo sentiti 7-8 mesi fa e mi ha passato al telefono il suo chef Michele Persichini. Sono 30 anni che lavora per lui e conservo un prezioso ricordo di quando anche lui veniva con noi in trasferta a giocare all’estero». C’è mai stata la possibilità che Gattuso andasse al Monza di Silvio Berlusconi? «No, sinceramente non abbiamo mai parlato. Sento spesso Galliani però ripeto non c’è mai stata la possibilità», continua Gattuso. Che aggiunge: «L’anno scorso ero sotto contratto, quest’anno a Valencia». Il Milan, inevitabilmente, ha segnato le carriere sportive di Silvio Berlusconi e Gennaro Gattuso. Dal 20 febbraio 1986 al 13 aprile 2017, guidato dal Cavaliere, il club rossonero ha conquistato 29 trofei, tra i quali 8 scudetti e 5 Champions League. Tanti i fuoriclasse che hanno scelto di indossare la maglia rossonera: Weah, Gullit, Van Basten, Shevchenko e Kakà. Simboli di un calcio che appartiene solo ai nostalgici. «Ormai non ci sono più presidenti come Berlusconi, perché a fine anno mettevano i soldi di tasca loro per far ritornare il bilancio in pari. Oggi il calcio sta andando su un’altra direzione», osserva Gattuso. «Viviamo un’epoca totalmente diversa e sicuramente non vedremo più presidenti come Berlusconi, Moratti e altri che hanno hanno investito e hanno speso molto per nel calcio italiano». L’ultima domanda a Rino è sul futuro. «Spero di tornare presto in panchina, ma c’è bisogno di un progetto, di un qualcosa che affascina». (f.benincasa@corrierecal.it)
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