COSENZA Ammette le sue responsabilità Roberto Porcaro, il pentito cosentino confessa ai magistrati della Dda nel corso degli interrogatori resi dopo la decisione di collaborare con la giustizia tutti i dettagli legati ai fatti criminosi commessi. Nel capitolo dedicato ai prestiti ad usura, è lo stesso ex reggente degli “Italiani” a far comprendere quanto sia proficua l’attività perpetrata attraverso l’imposizione di tassi usurari. L’esercizio abusivo del credito poteva essere svolto «direttamente da noi esponenti della consorteria criminale egemoni sul territorio, da soggetti da noi autorizzati a svolgerla o che comunque erano in qualche modo a noi riconducibili o collegati».
Dunque vi erano delle regole non scritte, ma sancite dalla mala per eseguire l’attività di prestito a strozzo. E se qualcuno osava sgarrare «individuate le parte del rapporto – debitore e creditore – avvicinavamo il debitore gli scontavamo una parte del debito contratto con il suo originario creditore pretendendo, ad esempio, la consegna della metà; quindi avvicinavamo il creditore e gli dicevamo che non aveva più pretese da avanzare verso la persona a cui aveva prestato del denaro. In questo modo ottenevamo in triplice risultato», spiega Porcaro. Che aggiunge: «Guadagnavamo noi senza aver investito nulla e senza particolari interventi violenti o invasivi; il debitore originario era soddisfatto perché di fatto vedeva dimezzata la sua originaria esposizione debitoria ed infine dissuadevamo non solo colui che aveva effettuato il prestito senza autorizzazione ma, a titolo monitorio, tutto coloro che in futuro avessero maturo l’intenzione di prestare denaro ad usura senza il nostro bene placito».
In una occasione, il pentito ammette di aver prestato denaro a strozzo ad un imprenditore. La cifra è importante, il prestito ammonta a 100mila euro. Era stato elargito ad «un ragazzo serio che aveva le disponibilità economiche per poter rientrare del debito con me contratto». Tuttavia, vista la cifra, Porcaro decide di coinvolgere Francesco Patitucci «per il tramite della moglie, essendo detenuto». Il racconto inizia. «Prestammo la somma richiesta. I primi 7/8 mesi fu regolare nei pagamenti corrispondendo la somma di 5.000 euro mensili, ovvero importo corrispondente al 5% di interessi computati sulla posta capitale». Qualcosa però va storto. L’imprenditore palesa evidenti difficoltà nel corrispondere la somma richiesta e Porcaro scopre che lo stesso «era sotto usura da parte di alcuni esponenti della criminalità organizzata “del mare” ed era dedito all’uso di sostanza stupefacente». Consapevole delle difficoltà e in accordo con la moglie di Patitucci, Porcaro elimina il tasso di interesse e concede al “cliente” il pagamento del solo capitale rimasto da saldare. «Mi diceva che pian piano sarebbe riuscito ad onorare l’impegno della restituzione del denaro in quanto era in attesa di ricevere un finanziamento». L’imprenditore riprende a saldare il debito fino all’arresto di Porcaro. «Una volta uscito Patitucci dal carcere gli rappresentavo questa situazione e, siccome io poco dopo venivo arrestato, nella gestione del rapporto subentrava Patitucci». (f.benincasa@corrierecal.it)
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