LAMEZIA TERME Dettaglio dal verbale di sopralluogo sul Mig23 monoposto delle Forze armate libiche precipitato a Castelsilano nei giorni della strage di Ustica: il cadavere del pilota «giaceva supino – ma nel verbale d’ispezione si dirà bocconi – su una pietraia in forte pendenza con la testa a monte, con le cinghie del paracadute legate al corpo. A circa un metro i resti di un apparente seggiolino. Poco più in alto un sasso intriso di sangue misto a materia cerebrale. Non si notavano rilevanti quantità o rigagnoli di sostanze ematiche. Il cadavere, oltre a quanto già descritto in rapporto, appariva di colorito scuro, corporatura robusta, di lunghezza su 1,75, con capelli ondulati e baffi neri; l’iride era di colore castano scuro; il bulbo dell’occhio sinistro era fuori dell’orbita; la testa aveva subito la completa asportazione traumatica della calotta cranica e la frantumazione delle ossa facciali». Il cadavere del pilota del Mig libico precipitato in Sila che è, per molti, la chiave dei segreti di Ustica dovrebbe essere uno dei punti fermi della ricostruzione. Non lo è. L’incrocio di atti e testimonianze porta a «stranezze» tali da rendere possibile ogni ipotesi. Anche quella – ve lo abbiamo anticipato ieri – che gli aerei schiantati nell’area di Castelsilano fossero addirittura due. È il libro “Ustica & Bologna” di Paolo Cucchiarelli a introdurre l’ipotesi che lo schianto abbia riguardato un F-14 e il famoso Mig. Il jet di costruzione americana sarebbe stato impegnato – assieme a un velivolo gemello – nell’inseguimento del caccia libico sui cieli della Calabria. E sarebbe caduto per primo, a causa di un’avaria.
Per raccontare le «stranezze» che portano alla possibile individuazione di due cadaveri (e di due jet diversi) bisogna mettere mano a vecchi giornali e stralci della sentenza-ordinanza del giudice Rosario Priore. Tutto parte dalla testimonianza di Filippo Di Benedetto. Di Benedetto appare per la prima volta nella storia della strage come fonte anonima. “Ho fatto la guardia al Mig libico” è l’articolo di Repubblica, firmato dallo storico inviato Pantaleone Sergi, in cui l’ex soldato di leva racconta «che quell’aereo era stato abbattuto in Calabria lo stesso giorno in cui il DC9 Itavia si era inabissato al largo di Ustica, e che egli aveva montato la guardia al cadavere del pilota e ai rottami per tre giorni alla fine di quel mese di giugno, precisamente a partire dall’alba del 28». Il resoconto giornalistico risale al 2 novembre 1990 e Sergi tutela la propria fonte che, tempo dopo, incontrerà spontaneamente il giudice Priore.
Di Benedetto svolge il servizio militare dal 1° agosto 1979 per un anno. E ricorda «di aver montato la guardia ai relitti del Mig23, ma è sicuro di averlo fatto in data precedente a quella in cui si disse essere stato rinvenuto quel velivolo, e cioè prima del 18 luglio 1980». La sintesi di Priore parla di Mig23, Di Benedetto – lo vedremo –sosterrà di non aver mai detto che il “suo” aereo fosse un Mig.
I militari vennero chiamati «intorno alle 5- 5.30, prima della normale ora di adunata. Furono convocati in dodici quindici» e «riuscirono a trovare, a seguito di diversi tentativi, il luogo di destinazione dopo diverse ore, tra le 11 e le 12». Rimasero due giorni e due notti sul luogo dell’incidente. Quando rientrarono in caserma a Cosenza, «gli ufficiali dissero ai militari che “non avevano visto niente”, cioè ingiunsero di dimenticare ogni cosa». Tra le cose che Di Benedetto ricorda di aver visto dalla propria postazione ci sarebbe «il pilota, che appariva seduto al posto di guida “accasciato sui comandi… sembrava un fantoccio”».
«In un turno di riposo – è la sintesi del giudice Priore – si avvicinò all’aereo e constatò guardando il cadavere – per brevissimo tempo e da un solo lato – che era di carnagione bianca e non aveva tracce di sangue. Il giorno dopo il cadavere non era più sul luogo». Il paragone con il sopralluogo “ufficiale” è stridente: un cadavere di carnagione bianca e non scuro; accasciato sui comandi e non su una pietraia; nessun riferimento al bulbo fuori dall’orbita né alla calotta cranica asportata per il trauma della caduta. A Di Benedetto, che chiese informazioni sui fatti, fu risposto «di non preoccuparsi “perché era tutto a posto”». Nel frattempo, sul posto arrivano «altri militari che indossavano divise estive non facilmente distinguibili, e che fu detto essere carabinieri». C’erano anche altri graduati «con divise scure» giunti su un’auto militare americana, «una Chevrolet targata IFI o AFI». L’ex militare di leva precisa anche che sulla scena c’era, a un centinaio di metri dall’aereo, «un paracadute aperto anche se non espanso completamente».
Di Benedetto verrà intervistato nel 1990 anche da l’Espresso. «Ci trovammo di fronte a un aereo che aveva l’aria di essere caduto da pochissimo tempo. Non era distrutto (il Mig lo era, ndr): sembrava che avesse tentato un atterraggio di emergenza (…). Sull’aereo – prosegue nel virgolettato riportato da Paolo Cucchiarelli in “Ustica & Bologna” – ricordo due colori: bianco e azzurro. Non ho visto particolari scritte su quel velivolo; ricordo solo che sulla fiancata c’era uno stemma che sembrava una specie di stella». Di Benedetto, per Cucchiarelli, difende la sua versione iniziale e sostiene di non aver mai parlato di un Mig. «Il velivolo era integro, com’era integra la persona che stava dentro l’aereo. Sembrava la vittima di un incidente stradale; questi sono due dettagli, inconfondibili, che ricordo benissimo», spiega all’autore del libro. Condizioni del cadavere, descrizione del relitto: è come se si fosse davanti a due scene diverse. L’ipotesi a questo punto viene resa esplicita da Cucchiarelli: «Ci sono due diversi aerei caduti in tempi diversi a poca distanza tra loro, in due diverse valli ma sempre nel territorio di Castelsilano, una aperta e ampia, l’altra quasi un canyon. Uno è l’aereo visto da Filippo Di Benedetto il 28 giugno “appanciato”, l’altro si schianta su un costone del vallone delle Megere, le streghe, ufficialmente il 18 luglio». Il primo sarebbe un caccia americano, il secondo un Mig23 libico.
È una teoria, certo, come mille altre attorno alla strage. Di sicuro c’è che anche per il giudice Priore «la vicenda denunciata da Di Benedetto non appare incredibile». Il magistrato commenta ciò che il militare riesce a vedere sia al proprio arrivo che quando riesce ad avvicinarsi, cioè il corpo del pilota “accasciato” sui comandi e la carnagione della vittima. È «una situazione del tutto diversa da quella che appare a coloro che discesero nella zona il 18 luglio, in cui v’è di certo un cadavere fuori dell’abitacolo – non si sa se supino o bocconi – e chiazze di sangue sulla pietraia. Il giorno dopo il cadavere sui comandi non c’è più. Le stranezze di questa vicenda sono tante». Priore fa poi cenno all’«atmosfera di intimidazione che prese corpo il giorno dell’esame dei testi nella sala d’attesa del Tribunale di Cosenza allorché due dei citati, che erano degli ufficiali (…) come si legge nella relazione di servizio dei carabinieri, si avvicinarono al Di Benedetto – anch’egli in attesa di deporre – e fingendo di leggere il giornale gli dissero “Ma che vai raccontando, ma che dici? Noi non c’eravamo”. Queste parole furono pronunciate con tono duro e alterato, cioè minatorio; al punto tale che il teste ne rimase intimorito e dovette essere accompagnato in una stanza del piano e i due ufficiali a un piano diverso».
Nel volume di Cucchiarelli, pubblicato nel 2020, Di Benedetto continua a dire (in colloqui di anni precedenti) di non aver mai parlato di un Mig. Il suo ricordo, anzi, si fa più esplicito («certo che era americano»). E le «stranezze», riassunte nel libro con un raffronto tra “l’aereo di Filippo” e “il Mig23 libico” (vedi sopra), sono difficili da conciliare. Possibile che si siano schiantati due aerei tra le montagne della Sila nei giorni della strage del DC9? Nel volume “Ustica, la tragedia e l’imbroglio”, Sandro Bruni e Gabriele Moroni si fermano davanti al dubbio che la verità sia stata in qualche modo indirizzata. E parlano del «cosiddetto Mig» quando si riferiscono al jet precipitato a Castelsilano. Antonio Scura, storico cronista calabrese, va oltre e parla per primo «della possibilità che sulla Timpa delle Magare si potessero essere schiantati due Mig», il primo caduto il 27 giugno e l’altro scoperto il 18 luglio. Per Cucchiarelli, che mette in fila un’enorme mole di dati, gli aerei sono due, ma si tratta di un F-14 andato in avaria durante l’inseguimento nei cieli di Calabria (l’aereo visto da Di Benedetto) e di un Mig23 (il caccia “inseguito”) che sarebbe riuscito, in prima istanza, a mettersi in salvo atterrando in una base segreta. In quella base il suo pilota sarebbe stato arrestato e interrogato per alcuni giorni, per poi essere messo in condizioni di raggiungere Bari. Ma, sentendosi in parte responsabile per il disastro di Ustica, il militare libico avrebbe deciso di suicidarsi, lasciando un biglietto in arabo. Di quell’appunto – che «con buona approssimazione, recitava “Io sottoscritto pilota Khalil colpevole dell’abbattimento e della morte di tanti…” – c’è traccia negli atti. Una traccia sfumata, che sparisce. Come troppe cose nelle inchieste sulla strage. Rischia di svanire, tra polemiche e depistaggi, anche la morte di 81 persone: i loro familiari meritano di conoscere la verità. (2. Fine)
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