RIACE «La prima persona che mi è venuta in mente dopo la sentenza – e mi sono commosso – si chiamava Antonio Mazzone». La voce di Mimmo Lucano è rotta dall’emozione quando ricorda il compianto legale di Locri che per primo ne seguì la storia processuale. «Qualcuno me lo aveva descritto come un burocrate, e invece lui – adesso lo capisco bene – aveva visto attraverso di me l’idea di un riscatto sociale della Calabria e anche del senso della giustizia, per tutto quello che abbiamo subito come popolo del Meridione». «Con me – continua Lucano – non ha mai cercato il rapporto di un avvocato con il proprio cliente. Abbiamo condiviso il sogno della giustizia. Poi è venuto a mancare, ma la cosa straordinaria è che non ha voluto neanche essere pagato: io non mi potevo permettere un avvocato». Dopo Mazzone, il pensiero di Lucano va ad «Andrea Daqua, Giuliano Pisapia: per me non sono semplici avvocati ma persone che hanno condiviso il sogno di una giustizia giusta, di un ideale. Voglio dedicare questo momento a loro e a tutte le persone con le quali ho condiviso sofferenze, sogni e speranze. A un certo punto ho pensato anche di avere disturbato tante persone. Lo voglio dedicare ai miei figli e alla mia famiglia…», dice Lucano prima di interrompersi. Lo chiamano nella sua Riace. “Mimì, Mimì”. C’è da festeggiare.
x
x