LAMEZIA TERME «La recente intervista del sociologo Derrick De Kerckhove al Corriere della Calabria merita un’attenta riflessione politica. Le questioni poste dall’accademico interessano la crescita e l’acquisizione del giudizio critico dei più giovani, come pure, in chiave attuale, alcuni capisaldi della Costituzione repubblicana: l’unità familiare (articolo 29), i doveri genitoriali di istruzione e di educazione dei figli (articolo 30) e, in senso lato, l’apertura a tutti della scuola (articolo 34). In piena transizione digitale e con il Pnrr che la sospinge, i temi affrontati dallo studioso canadese sono cruciali per il futuro, in particolare delle nuove generazioni. E lo sono anzitutto sul piano culturale e su quello sociale, di solito trascurati a favore delle ragioni e delle esigenze del mercato, che ormai plasma i gusti, i desideri, i comportamenti e la mentalità dei consumatori». Così il senatore e segretario regionale del Pd Nicola Irto. «Riprendo – prosegue Irto – alcune considerazioni esposte da De Kerckhove per illustrare la mia posizione, nel merito, da parlamentare e quindi da legislatore. Al Corriere della Calabria l’erede intellettuale di Marshall McLuhan ha detto che le nostre scuole non sono ancora pronte ad accompagnare i minori verso un uso corretto e responsabile delle nuove tecnologie digitali. De Kerckhove ha spiegato che il sistema nazionale dell’istruzione non previene a fondo i pericoli legati all’utilizzo, da parte dei ragazzi, delle risorse web, delle applicazioni dell’intelligenza artificiale e delle varie piattaforme social. In generale – ha osservato l’esperto – nelle scuole manca un’adeguata conoscenza degli strumenti digitali più comuni e “l’Italia si è rassegnata” a non governare tre aspetti in materia essenziali: l’equa disponibilità nel territorio nazionale delle tecnologie in predicato, l’educazione e la formazione al loro impiego. Ne conseguono: un irrisolto divario digitale fra le regioni del Nord e del Sud; la crescente esposizione all’autolesionismo dei minori più fragili; un pericoloso esibizionismo minorile via web; lo sviluppo all’esterno – nello spazio virtuale – della personalità dei bambini e degli adolescenti, condizionato dalle opinioni, dalle tendenze, dalle informazioni e dai linguaggi imposti sui social. Ciò significa che – nell’epoca dell’Internet delle cose, della realtà virtuale, della realtà aumentata, dell’intelligenza artificiale e della comparsa della tecnologia quantistica – la patria di Galileo Galilei e del metodo scientifico ha rinunciato ad investire capitali, anche umani e professionali, nella formazione di una cultura e di una responsabilità digitale presso le nuove generazioni, lasciando ai ragazzi l’onere di provvedere al riguardo, da soli e senza una guida preparata quanto affidabile. È così, ma questa realtà sfugge, benché sia evidente nel contesto economico e culturale di oggi, segnato dalla mercificazione di ogni bene e, addirittura, dell’etica sostenibile. Si vendono, cioè, perfino le raccomandazioni sul rispetto dell’ambiente, che spesso ritroviamo come princìpi di condotta negli imballaggi dei prodotti. E, tra l’altro: oggi anche la sessualità è desiderata e vissuta in remoto; comprata e sperimentata a distanza; offerta senza limiti normativi da giovanissimi capaci di posizionarsi nel grande mercato della rete; sganciata dall’incontro, dalla condivisione e dalla responsabilità personale». Irto quindi prosegue: «De Kerkchove, poi, ha descritto in termini (giustamente) allarmanti lo svuotamento della mente pensante e della memoria dei minori come effetto dell’enorme mole di dati accessibili e disponibili in rete, nonché quale risultato dell’invasione incontrastata degli algoritmi nella loro – e nostra – vita quotidiana. Se il soggetto umano perde la bussola, non sarà più capace di autogoverno, di leggere le trasformazioni digitali in atto e di assumere decisioni in piena libertà. Anzi, il pericolo più grosso – ha avvertito – è il “passaggio dalla responsabilità personale a quella della macchina capace di condurre l’individuo”. Se nella scuola pitagorica il numero era l’entità superiore, nell’universo digitale i dati sono l’essenza di tutte le cose. Dunque, in mancanza di valide strategie pedagogiche e culturali, nel futuro prossimo non ci sarà più autonomia individuale e, aggiungo, agibilità democratica. La prospettiva indicata da De Kerckhove è che le attività umane saranno pilotate dall’imperio dei dati, dalla loro elaborazione istantanea e dai relativi processi di automazione, con la speranza che la Quantum technology e l’auspicato recupero di una cultura e di una dimensione umanistica rappresentino un argine alla deriva in atto. Non c’è da meravigliarsi della profezia dell’erede intellettuale di McLhuan, posto che le proiezioni fantascientifiche diventano sempre più rapidamente realtà, come lo stesso De Kerckhove ha sottolineato nel ricordare il romanzo di Ray Bradbury “Fahrenheit 451”, del 1953, in cui era stato “previsto un po’ tutto, anticipando le trasformazioni della tecnologia”. A questo punto bisogna chiedersi come agire, a quali livelli intervenire, come provare a contrastare sul serio i pericoli delle nuove tecnologie, spesso funzionali ad un capitalismo ubiquitario e assieme impercettibile. Io credo che si debba intervenire con intelligenza e strategia nei processi educativi, nell’ambito della formazione del sapere e della conoscenza. Mi pare significativa, al riguardo, l’indicazione dell’esperto, che al Corriere della Calabria ha argomentato la necessità di incentivare la lettura su formato cartaceo, di reinvestire sulla cultura umanistica, su una pedagogia che abitui i ragazzi al “bello e buono” dell’antica Grecia, sul loro coinvolgimento in attività letterarie, filosofiche e artistiche che – anche con l’ausilio delle tecnologie digitali – diano il senso, il valore profondo della centralità della vita umana. In proposito, ho da tempo presentato una proposta di legge per stimolare i più giovani alla lettura dei libri, a partire dalle biblioteche e dai luoghi pubblici di maggiore frequentazione. Mi pare un buon inizio e ritengo che in Parlamento i temi qui discussi debbano essere oggetto di un ampio dibattito tra le forze politiche».
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