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il dilemma

“Grande Cosenza”, e il nome?

Da Casali del Manco a Lamezia Terme, a Corigliano-Rossano e poi il resto d’Italia: la fantasia si sbizzarrisce per battezzare i nuovi comuni

Pubblicato il: 11/11/2023 – 6:38
di Lucia Serino
“Grande Cosenza”, e il nome?

Prendiamo Casali del Manco, i nomi dei vecchi comuni sono rimasti come località, Casole Brutio, Pedace, Serra Pedace, Spezzano Piccolo e Trenta. Il nuovo comune nato nel 2017 li assorbì, unendo forzosamente la riottosa Spezzano Piccolo, battezzando un nuovo municipio il cui nome ha un senso, essendo già patrimonio della geografia e della storia di quei luoghi da oltre un secolo. È difficile abbattere i campanili in Italia, anche se da qualche parte del Paese persino torri blasonate e internazionali rischiano di cadere. E considerato che questo è anche il tempo in cui Identità “vo cercando”, uno degli aspetti non secondari dell’accorpamento dei municipi è quello della scelta del nome. Più che questioni fiscali e amministrative, è rinunciare al nome di battesimo che pregiudica le nozze. Prendiamo la Grande Cosenza, cioè la città brutia con le vicinissime Rende e Castrolibero, un’unica area urbana già nei fatti e da tempo, con fluidità di residenze, lavori, scuole al bivio del Campagnano. Com’è andata altrove? Diamo uno sguardo. A Corigliano-Rossano, l’anno successivo alle nozze di Casali del Manco, nel 2018, hanno fatto ricorso al “doppio cognome”, col trattino tra un nome e l’altro, modello genitore uno e genitore due. Bisogna andare indietro, all’eroico ’68, era appena cominciato, la storia data 4 gennaio, quando nacque Lamezia Terme, figlia di Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia Lamezia, oggi tre quartieroni di quella che dal 1972 può fregiarsi del titolo di città. A volte anche Google si confonde tra le stazioni, l’intreccio di sopraelevate, statali, strade parallele, rotatorie, anche col navigatore, è una prova d’abilità d’orientamento. Ma questo è altro discorso. Le cronache dell’epoca non raccontano di dissidi e frizioni sulla scelta del nome. Ma era un’epoca lontana dall’assemblearismo social di oggi.

In altre parti d’Italia

Se diamo un’occhiata all’elenco delle fusioni dei comuni in Italia dal 1990 ad oggi c’è molto da divertirsi immaginando la fantasia usata per non scontentare nessuno. I nuovi comuni hanno spesso nomi completamente nuovi, della serie “niente a me e niente a te”. Oppure prendono solo un pezzo del nome di ciascuno dei comuni che entrano nella fusione, aggiungono una “e” oppure un “con”, un trattino come nel caso delle nostre due calabresi joniche, oppure nulla. Quando sono solo due comuni a convolare a nozze, si mettono semplicemente insieme i nomi senza troppi problemi. Alle due Montoro, in provincia di Avellino, bastò togliere l’aggiunta Superiore e Inferiore. Tremezzina, in provincia di Como, chissà come è nata da Tremezzo, Ossuccio, Mezzegra e Lenno. Facile per Quero e Vas, due comuni del Bellunese, unitisi per Quero Vas che suona pure meglio. Pensate a che lavoro di mediazione hanno dovuto fare a Castelfranco Piandiscò, in provincia di Arezzo, neo comune nato da Castelfranco di Sopra e Pian di Scò, tre parole staccate che si sono poi congiunte. Era più complicato per Colbordolo e Sant’Angelo in Lizzona, in provincia di Pesaro e Urbino. Hanno semplificato, è venuta fuori Vallefoglia. Ingegneri delle parole in provincia di Lucca per battezzare il comune di Fabbriche di Vergemoli: nasceva da Fabbriche di Valico e Vergemoli, hanno tolto da una parte e aggiunto dall’altra. Cosa ne sarà di Cosenza, Castrolibero e Rende? Sempre che si faccia questo matrimonio.
Non sarà un problema secondario, troppo forte l’identità che rischia di spostare l’attenzione dal cuore della questione e cioè che, in tempo di austerity, la fusione mostra tutta la sua attualità per la possibilità di ottimizzare le risorse e ottimizzare i costi. Una sorta di terza via, si rinuncia alla sovranità e si evita (si spera) l’imposizione di nuove tasse. I prossimi mesi saranno duri e impegnativi. (redazione@corrierecal.it)

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