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IL CONTRIBUTO

«Il Psi, il Pci e lo scenario geopolitico di oggi»

Per come noto sono un vecchio socialista riformista mai, però, anticomunista. Nei primi anni sessanta, gli adolescenti della mia generazione, già iscritti alla FGS-Federazione Giovanile Socialista…

Pubblicato il: 19/11/2023 – 10:24
di SANDRO PRINCIPE
«Il Psi, il Pci e lo scenario geopolitico di oggi»

Per come noto sono un vecchio socialista riformista mai, però, anticomunista. Nei primi anni sessanta, gli adolescenti della mia generazione, già iscritti alla FGS-Federazione Giovanile Socialista, venivano educati al valore dell’unità dei partiti della classe operaia, come si diceva allora. Ricordo che nei primi mesi del centrosinistra, quello vero di Moro e di Nenni, avvertivo un certo imbarazzo nell’approccio con i giovani comunisti, miei compagni di giochi e di strada. Ancora imberbi, eravamo, non dico politicamente caratterizzati, ma certamente autocatalogati, perché seguivamo naturalmente il credo politico dei nostri papà e, dunque, se questi erano democristiani, socialisti o comunisti, noi ci sentivamo convintamente appartenenti alla DC, al PSI o al PCI. Erano gli anni dei partiti di massa, onnipresenti ed onnipotenti, ma anche vere scuole di cultura politica, per cui nelle sezioni, presenti ed operanti in tutte le realtà, si apprendeva la linea del partito, perché i vecchi compagni, anche quelli più umili, ma con l’Avanti!, o l’Unità infilato nella tasca della giacca, erano per noi maestri di vita e di politica. In realtà, i rapporti tra socialisti e comunisti si erano deteriorati nel 1956, dopo il XX congresso del PCUS, ove Krusciov denunciò i crimini dello stalinismo e, definitivamente, dopo l’invasione dell’Ungheria da parte degli eserciti dell’URSS e degli altri paesi del Patto di Varsavia. Ma nelle periferie questi sviluppi non si erano percepiti all’epoca, ma, con l’avvento del centrosinistra, la rottura del patto d’unità d’azione col Pci nelle sezioni fu evidente per tutti, vecchi e giovani. Poi vennero il ‘68, le Brigate Rosse, l’uccisione di Moro e il governo di Unità Nazionale, Craxi premier, gli euro missili e il decreto di San Valentino sulla scala mobile, tutti eventi che allontanarono sempre di più socialisti e comunisti. Dopo Sigonella ed il no di Craxi a Reagan, esempio di scuola di come vanno coniugati sovranità nazionale ed appartenenza all’alleanza atlantica, sembrava si potessero riaprire i canali per un dialogo ed una collaborazione tra i due partiti. Ma non se ne fece nulla. Craxi, nostalgico di Palazzo Chigi, si legò ad Andreotti e Forlani nel CAF, rendendo così strategico il pentapartito sino a quel momento considerato come alleanza tattica, necessitata per garantire la governabilità e vissuta in modo conflittuale con la DC. Il 1992, con l’arrivo di tangentopoli, la rottura divenne definitiva; i socialisti si convinsero che l’aggressione giudiziaria era ispirata dal PCI e si perse così l’occasione di costruire un grande partito socialista democratico in Italia, possibile dopo la fine del comunismo realizzato. Queste vicende, succintamente narrate, hanno influito, via via, sulla mia formazione politica durante la giovinezza, la maturità e nell’attuale stagione della vita e, intrecciandosi, hanno determinato ciò che ora sono i miei convincimenti. La mia osservazione dei rapporti tra socialisti e comunisti è stata con continuità attenta e mi ha sempre spinto a spaziare sulle relazioni internazionali. In ragione di ciò, depurando la retorica comunista dalle menzogne e dalle esagerazioni propagandistiche sull’Unione Sovietica, oggi bisogna riconoscere che il suo ruolo è stato fondamentale per il mantenimento della pace nell’Europa e nel mondo e per la fine del colonialismo. Nello scenario internazionale contemporaneo, possiamo ben dire che l’Unione Sovietica ci manca, mi manca, manca soprattutto all’Occidente. Una domanda semplice semplice: ci fosse stata l’Unione Sovietica sarebbero scoppiate le guerre di Ucraina e di Gaza? E la diplomazia sarebbe stata capace di risolvere, con equilibrio e rapidità, le crisi? L’Unione Sovietica manca anche agli Stati Uniti, come preconizzò un alto diplomatico russo nel 1989 ad un collega americano. In quell’epoca, i leader russi ed americani erano in continuo contatto, c’era il telefono rosso tra Mosca e Washington e questa sostanziale collaborazione garantiva pace, stabilità e benessere. Come è avvenuto nella crisi di Cuba, quando si è sfiorata la terza guerra mondiale e si ascoltava, anche, la parola dei papi (Giovanni XXIII pronunciò in tv un mirabile discorso concluso con l’appello: “pace, pace, pace”). Mentre oggi, a partire dal 24 febbraio 2022, Putin e Biden non si sono mai parlati, né per l ‘Ucraina, né per Gaza. Biden ha rivisto Xi Jinping dopo un lungo periodo di freddezza il 16/11 u.s., ma, a parte l’impegno a consultazioni ricorrenti, il summit nulla ha prodotto per risolvere le pericolose crisi in atto. Al contrario, durante la guerra fredda tutte le crisi sono state gestite dalle due super potenze con intelligenza ed efficacia, perché si aveva rispetto dell’altro e delle sue ragioni e, soprattutto, si rispettavano gli accordi (Yalta). Certo, sorge spontanea la domanda: che ne pensano i russi di queste nostalgie? L’URSS assicurava lavoro, un’abitazione, scuola e sanità per tutti. Ma mancava la libertà e si facevano le file ai negozi di generi alimentari. Oggi la libertà in Russia è solo formale, si trova ancora tutto nei supermercati, ma le disuguaglianze sociali sono spaventose con pochissimi super ricchi che, ai tempi di Eltsin, hanno saccheggiato le ricchezze del paese un tempo di proprietà pubblica. In definitiva, si può forse affermare che la fine dell’Unione Sovietica ha portato pochi benefici ai russi, limitatamente ai grandi centri urbani, e molti disagi a noi occidentali. È questa considerazione egoistica? Dalla fine della guerra fredda la diplomazia non esiste più, è latitante, mai si è elaborata una strategia equa e realistica per risolvere le crisi. Mancano i grandi leaders di prestigio internazionale. Si riuniscono in 2, in 4, in 7 o in 20, ma non decidono e non elaborano niente. Non contano nulla, non avendo alcuna capacità di parlare alla pari con gli Stati Uniti d’America che è, sostanzialmente, l’unica grande potenza sopravvissuta (la Cina, la cui economia peraltro è fortemente condizionata dai rapporti con l’Occidente, ancora non può competere alla pari con gli USA). Nell’attuale scenario geopolitico, per assicurare pace e stabilità e per risolvere le ricorrenti crisi, ci sarebbero voluti gli Stati Uniti d’Europa, con una politica estera, espletata da un preparato ed efficiente corpo diplomatico, e con una politica di difesa supportata da moderne forze armate comuni. Allo stato, però, bisogna prendere atto che l’Europa è un gigante economico affetto da nanismo politico, a cui mancano leaders politici della statura di De Gasperi, Adenauer, Schuman, Delors, Brandt, Mitterrand, Kohl, Craxi, Andreotti, Merkel.

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