CATANZARO Un medico internista calabrese su tre pensa di appendere in anticipo il camice bianco al chiodo, soprattutto per evitare presenti e futuri tagli alle pensioni, ma anche per i carichi di lavoro eccessivi. Ma a preoccupare è soprattutto il fatto che quasi il 25% di loro, se tornasse indietro, non sceglierebbe più di iscriversi a medicina e pensa oggi addirittura che sarebbe stato il caso di cambiare mestiere. Mentre l’idea di pagare meglio gli straordinari, come previsto dalla manovra finanziaria, rappresenta la ricetta idonea a tagliare le liste d’attesa solo per il 6% degli intervistati. È quanto emerge dal sondaggio condotto da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, su un campione rappresentativo di specialisti calabresi. L’idea di tagliare in anticipo il traguardo della pensione sta passando per la testa al 34% dei camici bianchi calabresi. Una percentuale così alta che, seppure nel 10% dei casi si trasformasse in realtà, significherebbe decretare il collasso degli ospedali della regione. A spingere il 34% dei medici a lasciare anticipatamente il servizio attivo è la paura di subire un taglio alla propria pensione. Magari con misure retroattive come quelle introdotte nella manovra, anche se poi alleggerite con un successivo emendamento. Anche chi non è in età da pensione, quasi il 25%, sta pensando di lasciare il servizio pubblico per andare nel privato. Uno scoramento che trova conferma nel fatto che quasi un medico su quattro, alle condizioni attuali, tornando indietro nel tempo, non sceglierebbe più di fare questa professione. Restano però forti le motivazioni di chi si sente ancora legato al servizio pubblico, il 70%, che motiva la sua scelta con la coscienza di voler garantire a tutti il diritto alla salute, seguito dal 30% che percepisce ancora come un valore la sicurezza del posto di lavoro. L’indagine punta poi ad analizzare le criticità nei reparti di Medicina interna, che in media assorbono circa il 50% di tutti i ricoveri ospedalieri. Per l’82% dei medici interpellati il problema numero uno resta la carenza di personale, soprattutto se rapportata all’intensità di cura medio-alta dei reparti di medicina interna, classificati ancora a bassa intensità. La scarsa valorizzazione del medico di medicina interna nell’organizzazione del lavoro ospedaliero è invece segnalata solo dal 12% degli internisti, mentre la scarsa o mancata integrazione tra ospedale e servizi territoriali è indicata dal restante 6%. Si registra, inoltre, quasi un plebiscito per l’utilizzo degli specializzandi a copertura dei vuoti idi organico, con solo il 6% che pensa possano mettere a rischio la qualità dell’assistenza. Per il 47%, invece, l’impiego degli specializzandi è utile, purché svolgano le loro attività affiancati da un tutor. E per un altro 47% servirebbero, ma sarebbe utile semplificare la burocrazia che ancora vincola il loro utilizzo negli ospedali al parere positivo delle Università. Non convince infine la formula “straordinari meglio pagati uguale meno liste di attesa”, contenuta nella manovra economica, giudicata efficace solo dal 6% degli intervistati, mentre per il 36% occorre assumere personale, e per il 30% organizzare meglio le attività in modo da garantire un utilizzo più esteso sia delle apparecchiature diagnostiche che delle risorse umane. A parere del 24% andrebbe invece ridotta l’inappropriatezza prescrittiva. «Anche in Calabria – sostiene il presidente regionale di Fadoi, Raffaele Costa – sono purtroppo sempre più numerosi i medici che per scelta lasciano il servizio pubblico per migrare nel privato, anche lontani dall’età pensionabile, o che cercano di anticipare la loro uscita. Le cause di questo grave deflusso sono da identificare prevalentemente nei turni massacranti da svolgere in reparti come quelli internistici in cui vengono ricoverati pazienti sempre più anziani, complessi, difficili da gestire per tutto il personale, medico e infermieristico. Personale che frequentemente è ridotto al lumicino, con un effetto a cascata di disagi, problematiche e malcontento generale. Tuttavia – dice ancora Costa – i medici calabresi complessivamente, come emerge dall’indagine Fadoi, continuano a credere nel Servizio sanitario nazionale, indicando nell’assistenza e nel diritto alla salute lo scopo della professione medica e non il mero interesse economico che, pertanto, avrebbe ben poca ragione di esistere». (redazione@corrierecal.it)
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