COSENZA Il Tribunale di Cosenza (giudice monocratico Familiari) – questa mattina – ha dichiarato colpevole (pena sospesa) Pasquale Bilotta, ex liquidatore dell’azienda Legnochimica di Rende per l’accusa di omessa bonifica, e condannato alla pena di nove mesi di reclusione ed al pagamento di una multa di 14.000 euro in aggiunta alle spese processuali. Cade nei confronti dell’unico imputato l’accusa di disastro ambientale. Inoltre, il tribunale ha condannato Bilotta al risarcimento del danno cagionato alle parti civili: Gf Car, Gf Motor rappresentati dall’avvocato Salvatore Tropea, Legambiente Calabria rappresentata dal legale Rodolfo Ambrosio e alcuni privati difesi dall’avvocato Pasquale Filippelli. Il pm Antonio Bruno Tridico aveva chiesto l’assoluzione dell’imputato. La giudice ha disposto il dissequestro dell’area.
«La qualità dell’aria è pessima, quando si verificano gli incendi la situazione peggiora». Giuseppe Falbo, titolare della Gf Car e Gf Motor, azienda che insiste in un terreno adiacente l’ex Legnochimica di Rende in aula aveva sottolineato il disagio subito. «In un incendio scoppiato nel 2017 – aveva raccontato in aula il testimone rappresentato dall’avvocato Salvatore Tropea – abbiamo subìto danni alla struttura. Le cupole (sotto le quali sostano le auto in vendita) sono state bruciate e i climatizzatori resi inutilizzabili dalla fuliggine. Un danno complessivo pari a circa 15mila euro». Non solo, la «cattiva qualità dell’aria» secondo l’imprenditore avrebbe provocato anche un calo consistente nel fatturato perché «siamo stati costretti a chiudere alcuni giorni l’azienda e in una occasione è stata disposta la sospensione delle attività a seguito di un’ordinanza emessa dall’allora sindaco Marcello Manna».
Uno degli ultimi testimoni a sottoporsi ad esame è stato Pietro Ferro (parte civile nel processo) – rappresentato dall’avvocato Pasquale Filippelli – figlio di Mena Iorio, titolare di un terreno adiacente alla Legnochimica. I terreni erano stati concessi a titolo gratuito ad un parente che aveva realizzato un’azienda agricola poi chiusa «perché sono stati posti sotto sequestro i pozzi che venivano utilizzati per abbeverare il bestiame».
Secondo quanto raccontato dal testimone, i terreni sarebbero stati «(s)venduti» dopo la chiusura dell’azienda agricola. «Nessuno voleva comprarli, valevano – secondo una stima effettuata – circa 60 euro al metro quadro, poi siamo stati costretti ad accettare un’offerta da 23 euro al metro».
(f.benincasa@corrierecal.it)
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