Il 2 febbraio del 1483 Francesco da Paola lascia la Calabria. È diretto in Francia dove lo attende una missione importante che lo porterà a compiere passi decisivi per l’Europa.
Senza ricordare i motivi che spinsero il grande Santo calabrese al viaggio d’oltralpe, preme sottolineare l’amarezza che ne contraddistinse l’addio alla sua terra.
Dai libri scritti sul grande taumaturgo, si evince la sua diffidenza verso Cosenza, città dominata da baronie e clero.
E sembra che non volle passare per la città nel giorno del congedo, definendola, «conca d’oro e lingua di serpente».
La grandezza di Francesco si sposa con la grandezza di Gioacchino da Fiore che veniva a Cosenza di notte per evitare che si sparlasse di lui. L’amarezza del grande santo paolano di trovarsi di fronte un ambiente ristretto, dominato dal chiacchiericcio, è una riproposizione attuale. Cosenza, città di grandi tradizioni culturali, e la stessa Calabria rimangono a distanza di secoli luoghi nei quali la pessima predisposizione alla critica altrui non sembra purtroppo cessata.
Sacche di provincialismo che non risparmiano la politica e il dibattito quotidiano, dove invece di confrontarsi con rispetto si privilegiano narrazioni «da portiera».
L’anniversario dell’esodo dalla sua terra del calabrese più illustre offre lo spunto anche per reclamare una migliore sistemazione della sua tomba, che è a Tours dove morì molto anziano. Ma ci dà l’occasione per riflettere sulla vacuità del chiacchiericcio, che Papa Francesco ha più volte definito una piaga. Lo si vede da pettegolezzi infimi che contrassegnano la lotta politica ma non solo.
San Francesco esortava ad isolare i pettegoli, che costruiscono miserie e menzogne e che, sosteneva, sono lo specchio di una grande pochezza. Un consiglio ancora utile».
*Giornalista
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