ROMA «Sulla giustizia è importante avere una visione d’insieme. Non possiamo parlare di riforme analizzando la singola riforma in maniera separata dalle altre. E con questa visione d’insieme ci rendiamo conto che la riforma Nordio è in continuità con la riforma Cartabia, ed entrambe queste riforme affondano le loro radici in un passato anche lontano». Così il pm Nino Di Matteo, ex consigliere del Csm (dal 2019 al 2023) e ora sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia, ospite su La7 a PiazzaPulita.
Le riforme Nordio e Cartabia, dunque, dove affondano le loro radici? «Nel programma sulla giustizia del primo governo Berlusconi, ma per certi aspetti – proprio quelli relativi al bavaglio all’informazione, la separazione delle carriere, l’abolizione del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale – anche nel Piano di rinascita democratica della P2», spiega il magistrato parlando con Corrado Formigli.
Di Matteo sottolinea: «Io mi limito alle costatazioni in fatto e leggendo alcuni stralci di quel Piano di rinascita democratica si leggono le stesse cose di quelle che oggi formano oggetto di discussione».
«Il complesso di queste riforme disegna una giustizia con delle caratteristiche particolari, uno scudo di protezione per i potenti – continua Di Matteo –. Una giustizia timida nei confronti delle manifestazioni tipiche dei colletti bianchi e un diritto penale forse anche eccessivamente rigoroso nei confronti delle manifestazioni tipiche del dissenso sociale e politico». Un disegno preoccupante, secondo Di Matteo: «È come se venisse meno il principio di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, è come se si dovesse consacrare una situazione per cui il potente deve essere preservato attraverso la limitazione dei poteri di indagine della magistratura e dall’altra parte attraverso il nascondimento dei fatti» ad esempio con «il bavaglio alla stampa».
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