REGGIO CALABRIA Carmelo Consolato Murina è indicato come «capo promotore e organizzatore della cosca Franco-Murina». Il suo nome è finito nell’inchiesta coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, ed eseguita dai carabinieri, denominata “Case popolari“. L’indagato – secondo l’accusa – sarebbe l’uomo di riferimento del clan nel quartiere di Santa Caterina, «su mandato della cosca Tegano-De Stefano di Archi». A lui sarebbero affidati diversi compiti, dalla riscossione dei proventi delle estorsioni alla gestione e controllo dell’assegnazione e delle occupazioni degli alloggi di proprietà dell’Aterp del Comune di Reggio Calabria».
Chi indaga, segnala un «incidente diplomatico» che avrebbe permesso di intercettare una serie di conversazioni, grazie alle quali sarebbe stato possibile accertare la natura illecita dell’assegnazione degli alloggi popolari. Il ruolo di “capo” del sodalizio si deduce da una serie di considerazioni dello stesso Murina che «poneva in essere una feroce critica all’operato dell’organizzazione relativa alla gestione delle case popolari posta in essere nel periodo della sua carcerazione». «Loro hanno avuto un sacco di tempo, di prendersi case, di sistemarsi, loro che hanno fatto poi? Lui ha avuto un sacco di tempo, voglio dire, di trovare case e hanno aperto, e ne hanno trovate, e se le sono vendute, e se le sono impegnate!…omissis…Hai avuto un sacco di tempo, un sacco di occasioni, avete fatto, avete preso, avete scassato, avete venduto. Di “sporcaccionate” hanno fatto! Che ci sono persone che gli hanno dato soldi, che gli dovevano dargli case e non hanno fatto niente! Io, in queste porcate non voglio entrare, perché non mi piacciono!». Nel tono utilizzato nella conversazione, Murina non nasconde la propria frustrazione. «In questi anni, sono successe tante cose. Avete pensato solamente…a prendersi quelle 2.000 euro, quelle 1.000 euro, quelle 5.000 euro… A fare solo schifezze e a me hanno regalato 50». Le doglianze dell’indagato sono riferite a quanto accaduto mentre era recluso in carcere. Il suo gruppo di riferimento avrebbe scorrettamente gestito il settore: rivendendo a terzi tutte le case occupate, senza tenerne nessuna per il gruppo stesso. «Non ne fanno più meschinità, non hanno pensato che avevano figli, che potevano avere nipoti, e di…e se si hanno due stanze, di aggiustarle e tenersele per loro…Hanno pensato solo a fare porcate!».
La mala gestio “denunciata” da Murina, spinge lo stesso a riorganizzare il sistema di assegnazione degli alloggi e in base al quale «se una casa veniva venduta doveva essere effettivamente consegnata, anche a costo di venderla ad un cifra esigua». Non solo, «l’organizzazione doveva trattenere per sé delle abitazioni occupate che andavano assegnate in via prioritaria a sodali». Infine, una mossa utile a sviare le indagini: assegnare le case a soggetti estranei al quartiere. «A gente di fuori le dobbiamo intestare noi! Tutta gente nuova che c’è! Quante persone ci sono!…Io dopo sette anni che sono uscito, ho visto persone a Santa Caterina di tutte le maniere!».
Carmelo Murina ne ha per tutti. A nessuno viene negato un rimprovero per il modus operandi adottato nella gestione delle case popolari. Anche l’ex dirigente Aterp Eugenia Rita Minicò, coinvolta nell’inchiesta, viene redarguita. Tutta colpa di un atteggiamento troppo disinvolto, che la stessa, avrebbe assunto «nella gestione delle partiche». Bisognava evitare di attirare le attenzioni delle Forze dell’Ordine. «Gli ha dato confidenza anche a persone non meritevoli di confidenza! Che poi queste sono le classiche persone che portano danni nelle case!».
(f.benincasa@corrierecal.it)
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