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Lamezia, la famiglia Perri «non è stata favorita dai legami con la cosca Iannazzo»

La Corte d’Appello ha confermato il dissequestro dei beni. Esclusa la pericolosità sociale dei fratelli e la presunta appartenenza al clan

Pubblicato il: 22/05/2024 – 14:56
Lamezia, la famiglia Perri «non è stata favorita dai legami con la cosca Iannazzo»

LAMEZIA TERME Confermato il decreto di rigetto di confisca, adottato dal Tribunale di Catanzaro il 29 settembre del 2023, nei confronti di Francesco Perri (difeso da Salvatore Staiano e Aldo Ferraro), Marcello Perri (difeso da Michele Cerminara) e Pasqualino Perri (difeso da Francesco Gambardella). È quanto deciso dalla Corte d’Appello di Catanzaro (sezione misure di prevenzione) che ha rigettato l’appello della Procura della Repubblica del capoluogo. Nell’appello proposto, erano state evidenziate, in via preliminare, «l’autonomia del procedimento penale rispetto a quello di prevenzione, in considerazione della non definitività dell’accertamento di merito compiuto dal Tribunale di Lamezia Terme», ma anche la «sproporzione patrimoniale, che riscontrerebbe le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, in particolare Gennaro Pulice, che vedono Francesco Perri – come soggetto intraneo alla cosca lannazzo, nonché come imprenditore di riferimento del clan», ripercorrendo, infine, in maniera analitica le vicende che avevano coinvolto i fratelli Perri e le imprese ad essi riconducibili, «chiaro indice della mafiosità delle stesse».

La presunta appartenenza

Nel concetto di “appartenenza”, secondo i giudici, «rientrano tanto le condotte indicative della vera e propria partecipazione che quei comportamenti di “supporto” e “ausilio” che, sul piano penale, integrano il reato di concorso esterno o che, comunque, sono funzionali agli interessi del sodalizio, contribuendo al suo sviluppo e all’attuazione dei suoi programmi associativi». In questo caso Francesco Perri è stato assolto in primo grado per il reato di partecipazione al sodalizio mafioso riconducibile alla famiglia lannazzo nel corso del processo “Andromeda”. Vengono richiamate alcune dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia – primo fra tutti Gennaro Pulice – secondo cui Franco Perri sarebbe “intraneo alla cosca”, «operando sul mercato in condizione di predominio rispetto agli altri operatori economici, godendo della protezione della famiglia lannazzo, non soggiogato da richieste estorsive». Come correttamente evidenziato dal Tribunale di Lamezia Terme, «si tratta di dichiarazioni alquanto generiche, rimaste prive di riscontri». Secondo i giudici, inoltre, non si rinviene alcun elemento tale da potere ritenere che i Perri «abbiano voluto agevolare le aziende della cosca rispetto ad altre imprese sul mercato, trattandosi di soli due fornitori tra le oltre 1.000 imprese che hanno avuto rapporti commerciali con il gruppo», con riferimento alla “Cascina della bontà s.r.l.” e il “Panificio San Giovanni”, riconducibile secondo la prospettazione accusatoria alla cosca Giampà.

I “Due Mari” e la Fiat  

Allo stesso modo, la Pubblica Accusa fa riferimento ai lavori edili eseguiti presso il Centro Commerciale i “Due Mari” dalla “Deltavi Costruzioni s.r.l.” di Pietro lannazzo, figlio di Vincenzino, capo della cosca. Come spiegano i giudici «si trattava, infatti, di società che aveva già svolto rilevanti lavori all’interno del Comune di Lamezia Terme, e che aveva presentato un preventivo che, se paragonato con quelli proposti dalle altre aziende, era risultato più vantaggioso». E c’è poi la vicenda Fiat: si tratta dell’acquisto da parte del Perri di un immobile dove prima era insediata la Fiat ed i lavori che sono stati eseguiti. «La sentenza emessa all’esito del dibattimento ricostruisce in modo analitico la vicenda, evidenziano come nessuno dei collaboratori abbia direttamente fatto riferimento ad un coinvolgimento di Franco Perri, mettendo piuttosto in risalto come le imprese riferibili ai clan rivali fossero tra loro in contrasto per lo svolgimento dei lavori in questione.

La gambizzazione del fratello e la bara trafugata

Secondo l’accusa, Francesco Perri si sarebbe rivolto alla famiglia lannazzo chiedendo la gambizzazione del proprio fratello Marcello. Così come ricostruito dal Tribunale all’esito del dibattimento, «non emerge la prova circa l’effetto ruolo di mandante assunto nella vicenda da Francesco Perri, avendo i collaboratori riferito solo di circostanze apprese da Vincenzino lannazzo», scrivono i giudici. Il Pm mette in risalto il ruolo di Francesco Perri anche nella vicenda in cui la restituzione della bara sarebbe stata posta dalla cosca lannazzo quale condizione per la partecipazione delle altre consorterie criminali ad un summit di mafia che avrebbe dovuto svolgersi nel 2006 per procedere ad una spartizione aggiornata del territorio. «Sul punto – scrivono i giudici – si condividono le argomentazioni del Tribunale, che ha ritenuto, conformemente alle risultanze dibattimentali di cui al processo Andromeda, come la condanna definitiva di Antonio Fazio per la tentata estorsione a danno della famiglia Perri, fosse in contrasto con la prospettazione accusatoria che vede Francesco Perri quale soggetto che avrebbe assunto accordi con i lannazzo per il ritrovamento della bara del padre».

Nessuna pericolosità sociale dei Perri

Dunque, secondo i giudici, esclusa la pericolosità sociale di Franco Perri, «non potrebbe, come paventato dal pm farsi riferimento ad una pericolosità genericamente riferita al gruppo societario. Secondo la prospettazione accusatoria, il gruppo Perri avrebbe avuto una forte espansione commerciale grazie alla protezione ed alla sponsorizzazione della cosca lannazzo», così come riferito dai collaboratori di giustizia. Sul punto, per come evidenziato dal Tribunale, «difettano elementi concreti per affermare che la crescita imprenditoriale del gruppo sia strettamente collegata al predominio nella zona della cosca lannazzo, trovando al contrario spiegazioni di natura contabile per come contenute nella consulenza in atti: il fatto che il sodalizio sia nel corso egli anni penetrato nel tessuto economico della città non implica necessariamente il coinvolgimento degli imprenditori che, come Perri, hanno operato sul territorio». «Infine, alcuna concreta doglianza viene svolta in riferimento alle posizioni dei fratelli Marcello e Pasqualino Perri: sul punto, la Procura si limita ad affermare la loro presenza all’interno della compagine societaria già all’epoca in cui il padre Antonio era in vita – negli anni ’80 – con ciò trascurando la circostanza per cui in quegli anni essi erano poco più che bambini. Né sono stati dedotti ulteriori elementi da cui desumere l’inserimento degli stessi nell’ambito del contesto criminale di riferimento». (Gi. Cu.)

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