COSENZA Ci sono sgarri che si regolano solo con il sangue, non ci sono pax da siglare o il disperato ricorso alle vie diplomatiche. E’ il caso del tentato omicidio di Pietrangelo Meduri (conosciuto come Piero o Pierino) finito nelle carte dell’inchiesta denominata “Recovery” che la Dda di Catanzaro ha coordinato nelle scorse settimane. Nel mirino della Distrettuale Antimafia un sodalizio criminale dedito al narcotraffico. Nella ricostruzione dei presunti gruppi criminali della galassia nera bruzia, figura anche quello che gli investigatori riconducono alla famiglia Meduri.
Quando i magistrati chiedono ad alcuni collaboratori di giustizia di riferire in merito ai soggetti appartenenti al presunto clan, spunta fuori un vecchio racconto di Celestino Abbruzzese alias “Micetto” e Silvio Gioia che vede coinvolti Luigi Abbruzzese detto “Pikachu”, Nicola Abbruzzese e Antonio Abruzzese (classe 1984).
I fratelli “Banana”, gli “zingari” di Cosenza, sarebbero dunque responsabili del tentato agguato mortale ai danni di Pierino Meduri, avvenuto nel gennaio 2013 «in occasione del funerale del papà di Claudio Pastiglia tenutosi al secondo lotto di via Popilia», sostiene il pentito Gioia. Che aggiunge: «Ricordo, perché ero presente in quanto partecipante al funerale, che mentre si muoveva il corteo funebre ho notato Luigi e Nicola Abbruzzese figli di “banana” ed il loro cognato Antonio Abbruzzese, che discutevano animatamente con Pierino Meduri. Dopo qualche minuto ho avvertito delle esplosioni di colpi di arma da fuoco e subito dopo ho visto allontanarsi i tre Abbruzzese a bordo di una Fiat Punto Abart di colore nero, con inserite nella targa le sigle CZ». Il racconto prosegue. Meduri venne raggiunto da alcuni colpi di pistola «sparati da Nicola Abbruzzese: tale circostanza mi è stata riferita da una ragazza di nome Stefania abitante nei pressi partecipante anch’essa al corteo funebre e che quindi era stata testimone oculare dell’evento». Secondo Celestino Abbruzzese, «successivamente al ferimento, Pietrangelo assieme ai suoi fratelli, si sarebbero avvicinati al gruppo denominato “Strusciatappine” dal quale avrebbero iniziato ad approvvigionarsi di stupefacente». Ma perché punire Meduri? Da quanto emerge dal racconto del pentito, Meduri – contravvenendo al regime di monopolio imposto per lo spaccio di stupefacenti a Cosenza – «si approvvigionava dell’eroina dai suoi cugini abitanti ad Africo Nuovo». Insomma, la vittima dell’agguato avrebbe fatto ricorso al «sottobanco», pratica non ammessa dai clan cosentini come ha avuto modo di confessare un altro esponente dei “Banana”, Celestino Abbruzzese alias “Micetto”.
Nel tratteggiare il profilo del presunto gruppo criminale, chi indaga si avvale del supporto delle intercettazioni. In una telefonata, l’indagato Filippo Meduri racconta al nipote il metodo usato dai fratelli Banana per capire se spacciasse al dettaglio dello stupefacente di provenienza diversa, ricorrendo al sottobanco. Meduri, inoltre, aggiunge un particolare riferito ad un colloquio personale con “Tonino Banana” al quale aveva chiesto il permesso di spacciare al dettaglio il “cobret“, un derivato sintetico dell’eroina: un mix illecito di oppiodi. Permesso poi accordato. «Poi quando invece del “cobret” che gliel’ho avevo detto a Tonino, ti ricordi che gli ho detto a Tonino che e… i soldi del “cobret” … qualcuno me lo posso prendere? E mi ha detto di si». (f.b.)
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