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‘Ndrangheta a Roma: l’ombra dei Mancuso e le minacce ai “soci”. «Te sparo mentre chiami il 113»

Conversazione da cui emerge il risentimento di Macori nei confronti di “El Tigre”. L’invito a Brigandì: «Fai salire i calabresi»

Pubblicato il: 24/07/2024 – 6:59
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta a Roma: l’ombra dei Mancuso e le minacce ai “soci”. «Te sparo mentre chiami il 113»

ROMA «Noooooo, io ‘mbocco proprio in ufficio con il ferro e glielo metto in testa ad Andrea e con il telefono 113 chiama un po’? E te sparo mentre li chiami… ancora che se pensa che me fanno paura a me le guardie… ma sti cazzi… ma hai scelto sta vita perché, per famme mette paura da Andrea Betrò?». È questo il tono di una intercettazione captata dagli inquirenti dell’Antimafia di Roma. È il 24 maggio del 2019 e a parlare sono Roberto Macori e Antonio Brigandì, tra i protagonisti della nuova inchiesta della Dda della Capitale incentrata sul business petrolifero e gli interessi delle varie consorterie criminali che, da trent’anni, si spartiscono interessi e affari su Roma, compresa la ‘ndrangheta calabrese. Il primo è finito in carcere, il secondo è nel lungo elenco degli indagati.

Le criticità del gruppo romano

Gli inquirenti intercettano questa conversazione in un periodo “critico” per il cartello criminale e i due, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, «ripercorrono in maniera chiara le dinamiche attraverso cui il sistema mafioso romano interfaccia e tutela gli investimenti economici dei principali gruppi mafiosi italiani come nel caso della cosca Mancuso» annota la Dia che, in questa circostanza, «sarebbe rappresentata a Roma proprio da Brigandì», scrive il gip nell’ordinanza. E citano il commercialista classe 1983 di Tropea, finito nell’elenco degli indagati. A Betrò, in particolare, la Dda della Capitale contesta il reato di concorso in associazione mafiosa.

«Chiama, così sentono proprio la botta»

Come ricostruito dagli inquirenti, dunque, Macori e Brigandì nel corso della conversazione «si lasciano andare a commenti più chiari rispetto al solito» annota la Dia poiché in entrambi «prevale il disappunto nei confronti di Piero Monti e Andrea Betrò», considerati responsabili rispettivamente di non rispettare quanto stabilito «soprattutto in relazione agli utili che dovrebbero essere destinati sia a Macori che alle famiglie rappresentate da Brigandì», annota ancora la Dia. La situazione è tanto critica che sembra ormai precipitare, ipotizzando anche un’azione nei confronti di Betrò. «(…) io vado proprio con scritto 113… chiama, così sentono proprio la botta» dice ancora Macori durante il confronto con Brigandì «(…) tanto gli devi fare così… gli deve far vedere che c’hai… ma lo sanno poi, lo sanno, lo sanno… perché a te, a me e zio Salvo ci tengono boni…perché ‘o sanno».



«Ho detto a Piero che mi deve portare 1.000 euro oggi»

Quella di Macori è, dunque, quasi una scelta di vita tra bene e male, «rendendo esplicito l’essersi posto nel lato criminale» annota ancora la Dia. Come ricostruito dagli inquirenti, Brigandì da subito dopo riferimento a Piero Monti. «(…) ho detto che a me Piero mi deve portare 1.000 euro oggi… no, a me deve portarmi 1000 euro per forza…». Una volta aperto il “capitolo Monti”, Macori inizia a sfogare la propria rabbia e il proprio risentimento, esasperato da “El Tigre” «il quale cerca di farsi sponda con le diverse anime mafiose che lo sostengono a seconda dell’utilità del momento» annota la Dia nell’informativa. Secondo quanto ricostruito, infatti, «secondo Macori, Monti si sarebbe “fatto guardia” ovvero avrebbe assunto un ruolo da confidente convinto che possa preservarlo da eventuali indagini», si legge ancora. «Ma no… parla con te? Io e zio Sandro siamo i boss de Roma, parla con noi? Tu sei il boss da’ Calabria… no ma quello è perché non ho detto un cazzo…» dice Macori a Brigandì. Secondo le risultanze investigative, le realtà imprenditoriali complesse come la più volte citata galassia “Max Petroli” della quale “Er Tigre” è una delle appendici più significative, «sono parte integrante del Sistema mafioso romano perché il contesto associativo indagato non solo si serve di queste società per mettere a regime le proprie articolate e spregiudicate manovre illecite, soprattutto legate al riciclaggio, ma addirittura contribuisce in maniera fondamentale all’esistenza stessa di queste imprese». Ci sono le ulteriori considerazioni di Brigandì, annotate ancora dalla Dia, a suggellare il quadro e la «posizione dominante sul mercato assunta da Monti» resa possibile solo grazie al supporto della cosca Mancuso di Limbadi. «(…) tiro i remi in barca… e lascio il via a tutti… me ne passa per il cazzo… non ce la faccio più io… che stiamo a fa’? Che stiamo facendo? Ma è possibile tutte le mattine ma buongiorno, che buongiorno è…?» si chiede Brigandì. E ancora: «(…) lui pensa che non gli è dovuto niente che lui non ha preso patti con nessuno, ma non ha capito un cazzo… lui pensa che è tutto merito suo, lui sta comodo ora, non ha capito un cazzo…».



L’ipotesi estrema: fare intervenire i calabresi

Nel corso della conversazione finita agli atti dell’inchiesta “Assedio”, Macori invita Brigandì a far comprendere esattamente a Monti «quali siano gli equilibri che lui stesso, di fatto, ha accettato facendosi supportare da loro» e si dice convinto del fatto che «Brigandì debba far salire qualcuno dalla Calabria, ovviamente intendendo sodali delle ‘ndrine». Brigandì, dal canto suo, «sottolinea come abbia abbozzato fino a quel momento solo ed esclusivamente perché è consapevole del fatto che, qualora dovesse investire formalmente “quelli di giù” per risolvere la questione, i metodi utilizzati non sarebbero certamente leggeri ma, in condizioni estreme, lui si tirerebbe fuori per far entrare in scena le cosche calabresi con la forza» annota la Dia. «(…) lui lo sa con me, lui non scherza… cioè glielo ho detto che non si scherza, non ci sono santi che tengono… sto giro so’ cazzi sua, come va a finire va a finire non me ne fotte un cazzo. Senti a me, non ci impiego niente, io mi tiro fuori…».
Secondo gli inquirenti, dunque, Brigandì «sottolinea come l’intervento delle cosche calabresi dovrà rappresentare l’estrema ratio in quanto vantano dei crediti che sperano di soddisfare contando ancora sul buon senso di Monti», annota ancora la Dia, riportando l’ennesima intercettazione significativa. «(…) nooo… se sale qualcuno da giù finisce male… Roberto, finisce male perché avanzano i soldi, hanno fatto promesse…». (g.curcio@corrierecal.it)

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