La Rigel, la Jolly Rosso, il “canalone” di Lamezia Terme. C’è un filo rosso che lega la drammatica stagione delle “navi a perdere” alle numerose operazioni antinquinamento di oggi: veleni scaricati nei mari, fiumi e laghi di Calabria, rifiuti (tossici o meno) abbandonati in discariche abusive nel mezzo del verde aspromontano. È la storia di una regione che vanta meraviglie paesaggistiche uniche al mondo, ma soffre la presenza di chi sfrutta le particolari condizioni geologiche e naturali per nascondere rifiuti di ogni genere col fine di lucrarci sopra. Dai traffici degli anni ’80-’90 agli sversamenti che oggi inquinano i corsi d’acqua calabresi: la “doppia” operazione dello scorso mercoledì (il sequestro di un tratto del canalone a Lamezia e il trasferimento illecito di rifiuti nel Reggino), solo le ultime di una lunga serie, dimostra la grande attenzione delle Procure calabresi verso l’ambiente, ma anche come negli anni poco sia cambiato con l’attenzione delle ecomafie sempre rivolta alla “discarica” Calabria.
È il 14 dicembre 1990 quando sulle spiagge di Amantea si arena la Jolly Rosso, nave simbolo (insieme alla Rigel) della stagione dei veleni nel mar Mediterraneo. Le cosiddette “navi a perdere”, portacontainer fatte affondare di proposito con il duplice obiettivo di lucrare sull’assicurazione e, ben più grave, far sparire tonnellate di rifiuti radioattivi, scarti di industrie italiane ed europee che al classico e più “sostenibile” (ma anche più costoso) smaltimento legale preferivano quello illecito. Nel catastrofico giro di rifiuti illeciti c’è di tutto: le grandi industrie, imprenditori collusi, mafie straniere e, ovviamente, la ‘ndrangheta. Come racconta il pentito Francesco Fonti, che ha ammesso di aver affondato lui stesso tre navi (la Yvonne A, la Cunski e la Voriais Sporadais) nelle acque di Maratea, Cetraro e Melito Porto Salvo, con il benestare delle ‘ndrine di San Luca.
Sulle navi fantasma che sparivano nelle acque mediterranee le indagini risalgono a molto tempo fa. Fu il capitano Natale De Grazia, morto poi in circostanze sospette, a guidare le inchieste sul giro illecito di rifiuti in Calabria. Ma anche il Sismi, i servizi segreti, tenevano d’occhio la situazione: come dimostrano i documenti desecretati che rivelano un elenco di circa 90 navi che sarebbero state affondate nel Mediterraneo tra il 1989 e il 1995. Un altro dato desecretato nel 2014 è quello relative alle navi affondate nel mar Jonio e nel mar Tirreno tra il 1979 e il 1993, tra cui la Rigel e la Michigan. Quest’ultima, su cui si sospetta contenesse rifiuti radioattivi, affondò a largo di Capo Vaticano, nell’esatto punto in cui fu lanciato l’allarme per la Jolly Rosso, poi arenatasi ad Amantea. Una “strana” coincidenza sottolineata anche dall’ex sostituto procuratore della Dda di Reggio Alberto Cisterna in una delle sue audizioni alla Commissione d’inchiesta parlamentare.
«Il traffico di rifiuti tossici è pressoché accertato ed a occuparsene furono proprio quel circuito di navi e progetti folli ritrovati in più perquisizioni». È quanto si legge in uno dei documenti declassificati, in cui si cita anche il caso dei Sinoi, cavità naturali utilizzate per nascondere rifiuti. Ad oggi, il modus operandi delle “navi a perdere” è chiaramente più difficile grazie all’evoluzione tecnologica che permette maggiori controlli e interventi immediati. Eppure, nel solo 2023 si sono contati quasi 3000 reati ambientali in Calabria, rendendola la quarta regione d’Italia per illeciti contro l’ambiente. Numeri che da una parte dimostrano l’impegno delle Procure e il contrasto netto delle forze dell’ordine, ma che sottolineano la “resistenza” e la versatilità delle ecomafie in Calabria.
Solo negli ultimi giorni a Lamezia un tratto lungo quasi 400 metri del “canalone” nell’area ex Sir è stato sequestrato a causa dell’inquinamento, nel Reggino in 11 sono stati denunciati per sversamenti illeciti nei fiumi, oltre all’operazione contro un giro illegale di rifiuti che ha portato al sequestro di 7 aziende. A marzo, invece, un blitz della Procura di Catanzaro che ha portato all’arresto di 18 persone ha fatto emergere «uno sversamento illecito dei fanghi che invece di esse conferiti negli ambienti ad hoc, attraverso la falsificazione dei documenti venivano smaltiti illecitamente». “Veleni” che finiscono nei mari calabresi, dove ad attenderli ci sono i rifiuti tossici affondati nella stagione delle navi a perdere. Ma anche boschi e campagne che ospiterebbero, secondo numerose inchieste, rifiuti di ogni tipo, smaltiti con il supporto della ‘ndrangheta. Disastri ecologici che oggi si cerca di prevenire anche grazie agli “anticorpi” che in 40 anni di lotta ai reati ambientali si è riusciti a creare, sulle orme di chi, come il capitano Natale De Grazia, aveva già lanciato l’allarme sui gruppi criminali che vedono la Calabria come una “megadiscarica”. (Ma.Ru.)
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