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Il terreno conteso e l’«odio reciproco» fra le famiglie: per i giudici l’omicidio di Matteo Vinci «non è mafioso»

Ucciso da un’autobomba nel 2018, per la Corte d’Appello sono colpevoli Rosaria Mancuso e Vito Barbara, a causa di «una violenta contesa»

Pubblicato il: 29/10/2024 – 19:08
Il terreno conteso e l’«odio reciproco» fra le famiglie: per i giudici l’omicidio di Matteo Vinci «non è mafioso»

VIBO VALENTIA Non un omicidio mafioso, ma una «contesa tra vicini» determinata da «un’aspra conflittualità, sfociata in sentimenti d’odio reciproco». È quanto stabilito dalla Corte d’Appello di Catanzaro a proposito dell’omicidio di Matteo Vinci, il biologo ucciso con un’autobomba il 9 aprile 2018. Un attentato in cui è rimasto ferito gravemente ferito anche il padre Francesco Vinci, mentre sono stati condannati Rosaria Mancuso e il genero Vito Barbara, rispettivamente all’ergastolo e a 30 anni. Pena rideterminata con la sentenza d’appello per Domenico Di Grillo, da 10 a 6 anni di carcere, e per Lucia Di Grillo, da 3 anni e 6 mesi a 3 anni. Sono state rese note le motivazioni della Corte presieduta da Piero Santese, che ribadiscono l’assenza del “timbro” mafioso sull’omicidio, nonostante l’appello della Dda che faceva presa sui rapporti parentali di Rosaria Mancuso con la nota famiglia criminale di Limbadi e sul contesto e le modalità in cui l’attentato è avvenuto.

«Violenta contesa tra vicini»

I giudici hanno confermato l’esclusione dell’aggravante mafiosa, in quanto l’omicidio di Matteo Vinci si inserisce in una «una violenta contesa tra vicini, legata al possesso di un’area di terreno, che si è protratta, incancrenendosi e aggravandosi via via, per anni, fino al giorno della drammatica esplosione». Non ritenuti sufficienti, dunque, i legami di parentela della Mancuso, sorella dei più noti boss. Viene poi a mancare, secondo i giudici, anche la presunta condotta estorsiva da parte della famiglia Mancuso-Di Grillo per il terreno conteso. In primis, perché la terra sarebbe stata ceduta a questi ultimi da Gaetana Vinci, che «giammai ha riferito di pressioni da parte dei Mancuso al fine di impossessarsi con la forza del bene». Inoltre, secondo la Corte, il fatto che la famiglia «abbia ottenuto la proprietà di altri terreni vicini con modalità alquanto sospette non può portare ad affermare l’illegalità di tutti gli acquisti posti in essere dagli odierni imputati».

L’aggressione del 30 ottobre e le intimidazioni

Le motivazioni della Corte d’Appello si concentrano poi sulla credibilità delle persone offese, vale a dire dei coniugi Vinci, «che indubbiamente soffrono di una visione assolutamente soggettiva degli eventi, ingigantendo episodi a danno del nucleo familiare rivale». Il riferimento è all’episodio del ritrovamento del bastone di fronte la loro proprietà, «attribuito erroneamente ad un atto di scopelismo da parte dei Di Grillo – Mancuso». Secondo i giudici dimostrerebbe «la comprensibile mancanza di lucidità e incapacità, da parte delle persone offese, di distinguere le proprie percezioni soggettive dalle circostanze oggettive». Come, allo stesso modo, sarebbe avvenuto nel grave episodio di aggressione, che i giudici di primo grado hanno rideterminato da tentato omicidio a lesioni personali aggravate, del 30 ottobre 2017, quando Francesco Vinci sarebbe stato raggiunto da Vito Barbara e da Domenico Di Grillo e colpito con un forcone. Lesioni per cui è finito in ospedale con profonde ferite in viso e in bocca. Se è veritiera l’aggressione, vengono ritenute inattendibili, tuttavia, le dichiarazioni rese dalla vittima sulla presunta presenza di una pistola durante il fatto. A “sconfessare” Vinci ci sarebbero due intercettazioni, una avvenuta con un Carabiniere in ospedale, in cui non viene accennata la pistola, un’altra «del tutto genuina» tra Barbara e Lucia Di Grillo in cui non emerge la presenza dell’arma. Una lunga sequela di episodi che proverebbe secondo i giudici «quell’aspra conflittualità» all’origine dell’omicidio. (Ma.Ru.)

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