Riceviamo e pubblichiamo
Gentile direttore, “chiamati in causa” come “neoborbonici”, forse potrebbe essere opportuna qualche osservazione sull’articolo relativo al nuovo brano di Eugenio Bennato (Mongiana) criticato da Paride Leporace. Necessaria una premessa: invece di attaccare perennemente i “neoborbonici”, forse sarebbe il caso di ringraziarli visto che grazie alle loro ricerche e alla loro opera di divulgazione oggi si parla di certi temi (Mongiana compresa) che erano stati relegati nella retorica “risorgimentalista”, la stessa che per circa un secolo e mezzo ha diffuso l’immagine di una Calabria da sempre arretrata e dei calabresi “nati delinquenti” (di lombrosiana memoria).
Per smentire le tesi dell’articolo posso citare… l’articolo. È lo stesso Leporace, infatti, a parlare di “bugie neoborboniche” e di un Bennato di fatto impreparato e ingenuo salvo poi citare fonti che negano le sue stesse tesi. E così ammette, con Augusto Placanica, che “talune forme di economia [“un punto alto dell’industria meridionale”] ricevettero un colpo assai duro dall’unificazione”. Così lui stesso scrive, riconoscendo che ci furono degli “speculatori”, che “gli impianti calabresi messi all’asta finirono in mano alla famiglia (garibaldina) di Fazzari” (di fatto le tesi nostre e di Bennato) e che i resti di Mongiana furono “svenduti alle Ferriere dell’isola d’Elba”. Scoprii nelle mie ricerche presso l’Archivio del Comune di Piombino che i macchinari calabresi furono trasferiti su diverse navi per le nascenti industrie del resto d’Italia…
L’articolista, poi, cita la solita relazione del Galanti per sminuire l’importanza di Mongiana. Peccato, però, che quella relazione fu commissionata dagli stessi Borbone alla fine del Settecento (!) e per giunta a pochi anni da un terremoto che aveva devastato le Calabrie (migliaia di vittime e decine i paesi distrutti). Peccato anche che le condizioni degli operai fossero dure in tutto il mondo a quei tempi (Piemonte e Inghilterra in testa, con percentuali drammatiche di morti e di lavoro minorile).
Peccato anche che la fabbrica visse la sua evoluzione fino a contare davvero circa duemila addetti in tutto il “distretto industriale” e fino alla moderna organizzazione voluta da Ferdinando II.
Con un occhio anche superficiale ai documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Catanzaro (fondo “Mongiana”) o ai recenti studi della prof.ssa Mariolina Spadaro (Università Federico II di Napoli) avrebbe scoperto (caso rarissimo non solo in Italia) l’esistenza di un regolamento datato 1845 e che prevedeva che quegli operai non potevano lavorare più di otto ore, avevano diritto ad una casa gratuita (alcune sono ancora lì), erano assistiti da un chirurgo, da un medico-farmacista e non risultano, dai documenti, casi rilevanti di malattie, infortuni e morti. Del resto, se le condizioni di quegli operai fossero state davvero critiche, non si comprende come e perché proprio lì partì una sommossa anti-italiana che portò la popolazione a scendere in piazza, a infrangere gli stemmi sabaudi e ad innalzare la bandiera borbonica (11 gennaio 1861). Sempre a Mongiana, del resto, oltre 200 persone ebbero il coraggio addirittura di votare “no” al famoso (e inattendibile) plebiscito dell’ottobre del 1860. Del resto da quei dati comunque positivi di quegli anni in termini di trend (in crescita) di sviluppo industriale (con livelli pari o superiori a quelli di altre regioni italiane), la Calabria è diventata in un secolo e mezzo e senza soluzione di continuità una delle regioni più povere in Europa con territori (Mongiana inclusa) condizionati dalla criminalità e da una emigrazione tragica e inarrestabile da allora ad oggi. Così si è passati dai primati del prodotto industriale pro-capite (quello della Sicilia, della Campania e della Calabria era maggiore di quello del Piemonte e della Lombardia) alle attuali e progressive desertificazioni (cfr. S. Fenoaltea e L. De Matteo).
In conclusione, allora, ha ragione l’articolista quando dice che “una bugia detta molte volte alla fine diventa una verità” (ma vale per il racconto solo e sempre “negativo” delle Calabrie) e ha ragione Bennato quando dice, nella sua bella canzone, che abbiamo il diritto e il dovere di ricordare Mongiana nella speranza di unire memoria e orgoglio e di arrivare, finalmente, all’atteso riscatto delle Calabrie (e del Sud).
Prof. Gennaro De Crescenzo
Mi rimetto al recente libro “Il mito dei Borbone” scritto dallo storico Andrea Mammone originario di Mongiana non di Mondovì’ o Marte. Auguri buona vita alle sue illusioni (pl)
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