‘Ndrangheta e la “Strage di Ariola”: annullata l’ordinanza per il latitante Gaetano Emanuele
Per il Collegio, condividendo la decisione della Cassazione, «quella di Forastefano è una chiamata “de relato”»

CATANZARO Ordinanza di custodia cautelare annullata e immediata liberazione per Emanuele Gaetano, vibonese classe ’75, latitante dal blitz “Habanero” della Distrettuale antimafia di Catanzaro, condotta sul campo dai Carabinieri di Vibo Valentia, contro il locale di ‘ndrangheta di Ariola. Gaetano Emanuele è indagato per il triplice omicidio legato proprio alla “Strage di Ariola” ed è peraltro fratello di Bruno Emanuele, boss delle Preserre. La decisione è dei giudici del Collegio del Tribunale di Catanzaro – Emma Sonni presidente – che hanno ricevuto il ricorso rinviato dalla Corte di Cassazione in merito alla posizione di Gaetano Emanuele, assistito dagli avvocati Giuseppe Di Renzo e Alessandro Diddi.
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La decisione
Secondo i giudici, dunque, la partecipazione di Gaetano Emanuele alla nota “Strage di Ariola” si fonderebbe – stando alla prospettazione accusatoria e condivisa dal gip – sul valore attribuito alle dichiarazioni accusatorie del collaboratore Antonio Forastefano. Ma, osservano i giudici, «è da rilevare che la chiamata del collaboratore è qualificabile come chiamata de relato e non anche diretta» perché «Forastefano non risulta aver riferito nulla che fosse di sua diretta conoscenza, avendo, anzi, riportato una confidenza autoaccusatoria appresa da Angelo Maiolo, autore materiale del fatto, quindi quanto raccontato dal pentito sul coinvolgimento di Gaetano Emanuele nella “Strage di Ariola” «facesse effettivamente parte del patrimonio conoscitivo del gruppo». Il Collegio, inoltre, rileva come le dichiarazioni di Forastefano «difettino, nella specie, di adeguati riscontri individualizzanti al suo narrato».
La perquisizione
Per il Collegio, inoltre, al netto di ogni altra considerazione «tutto quanto rinvenuto in occasione della perquisizione, le autovetture, così come il passamontagna di colore blu – sicuramente utilizzato da uno degli occupanti dell’autovettura di Vincenzo Bartone, il contrassegno del motorino risultato rubato nel medesimo contesto di altro attribuito al ricorrente, nonché i tre fucili da caccia cal. 12 del tutto simili a quelli utilizzati nell’agguato sono stati rinvenuti in una zona compatibile con la loro riferibilità a diverse persone, fra cui il fratello Bruno Emanuele ed il cognato Idà, soggetti indicati come possibili partecipi all’azione e non al solo Gaetano Emanuele». In sostanza, «ciò che occorre sottolineare – scrivono ancora i giudici – è che non si pone in contestazione la disponibilità di quei luoghi anche in capo al ricorrente, ma, al contempo, deve ribadirsi come i medesimi luoghi fossero contestualmente nella diretta disponibilità di altri soggetti come il fratello Bruno ed il cognato Franco Idà» e ne consegue quindi «che non può essere attribuito a detto nascondiglio univoca valenza dimostrativa, come pure pretenderebbe il pm». (g.curcio@corrierecal.it)
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