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l’intervista

A tutto Brunori: «A Sanremo con la “scirubetta” e la vurzetta delle Magare di San Fili»

Prima dell’Ariston il cantautore cosentino fa tappa all’Unical. «Il connubio fra miele e neve ricorda lo spirito calabrese»

Pubblicato il: 05/02/2025 – 19:28
di Fabio Benincasa
A tutto Brunori: «A Sanremo con la “scirubetta” e la vurzetta delle Magare di San Fili»

COSENZA E’ la solita spontaneità a rendere unico Dario Brunori, la semplicità nella comunicazione condita da sorrisi e battute che conquistano il pubblico e i favori della critica. Anche la Crusca elogia il cantautore cosentino, dando un 9 al testo del brano che porterà sul palco dell’Ariston di Sanremo. L’arrivo all’Università della Calabria, per un incontro (fiume) oggi pomeriggio con la stampa, è da rockstar anche se dopo aver pensato di «indossare gli abiti di Achille Lauro», Brunori ripiega sul solito ed apprezzatissimo look: pantalone e maglione. E si sorprende quando ad attenderlo ci sono decine di telecamere e fotografi. I bookmakers lo danno tra i favoriti per la vittoria finale, i critici musicali chiamati a giudicare i testi in gara non hanno dubbi “L’albero delle noci” è poesia pura. Ed allora un pizzico di scaramanzia non guasta, da buon cosentino Brunori invoca le «magare» e infila una battuta per cambiare subito argomento. «L’endorsement dell’Accademia della Crusca è un certificato di qualità, un orgoglio per la mia famiglia e anche per i miei docenti, che non erano così orgogliosi di me quando ero a scuola, adesso però tutto viene rivalutato grazie a Sanremo». E veniamo alla scaramanzia. «Le Magare di San Fili mi hanno preparato questa vurzetta che in qualche modo mi proteggerà me la sono portata, poi ho anche le pietre di sale. Siamo scaramantici, ma abbiamo anche i nostri amuleti mettiamola così».

Sanremo? «Nessuna competizione»

Brunori si è sempre mostrato particolarmente allergico alle competizioni (canore), ma a Sanremo ci saranno vincitori e vinti. Allora cosa è cambiato? «Non è cambiato niente, credo che siano in pochi a viverla come una competizione. Si partecipa perché è uno dei pochi contesti in cui si può promuovere il proprio lavoro e arrivare ad un pubblico così ampio. C’è chi ci va perché effettivamente coltiva il desiderio di partecipare a Sanremo, nel mio caso era proprio la voglia di porre un riflettore sul lavoro che abbiamo fatto in due anni: porto una canzone, ma porto in realtà anche il nuovo album e forse anche un po’ il desiderio di uscire da questa nicchia e farmi vedere in un contesto più nazionalpopolare».

La Scirubetta a Sanremo

Formula nuova. Il Festvial della Canzone Italiana è chiamato alla prova degli ascolti dopo il boom delle precedenti edizioni targate Amadeus. «Quest’anno mi sembra ci sia più equilibrio, ho deciso di indossare il vestito del cantautore e riportare al centro la canzone e la scrittura». Non a caso il brano che canterà all’Ariston è una ballad «con un tono molto delicato». “L’albero delle noci” è dedicata alla figlia Fiammetta, una canzone sulla paternità, ma anche un brano riempito di versi che riportano alle tradizioni della Calabria. Come la scirubetta (tipica del cosentino, con la neve fresca e servita con miele di fichi). «L’Accademia della scirubetta mi ha dato 10», scherza Dario. «E’ la prima volta che penso si parli di scirubetta in un contesto così nazionale o almeno sicuramente a Sanremo, almeno ho questo primato». Il tono si fa più serio. «Sono molto orgoglioso di quel verso perché mi piace proprio l’idea che venga fuori qualcosa che ha a che fare con le nostre radici. Sono cresciuto in un paese di montagna, Joggi, e quindi sono molto legato ad alcune cose popolari e la scirubetta è una di queste». Non solo. «Il connubio fra il miele e la neve ricorda il nostro spirito, la calabresità che conosco, quella della mia esperienza di vita». E quindi la voglia di dedicare una canzone a Fiammetta, diventa il pretesto per raccontare tanto altro. «Certamente la canzone non è solo una canzone su mia figlia, sarebbe stato per me molto difficile portare un pezzo così, nonostante io sia un sentimentale. Non volevo essere così sdolcinato e limitarmi a quello, ma parlare delle radici, del passato, come dico nel testo, ma anche di futuro con la paura che chiaramente si alimenta di più quando si diventa genitori».
Il pensiero torna sempre alla Calabria, alle radici, alla storia. «Il rapporto che si ha con la propria terra può diventare, soprattutto in questo momento della mia vita, un punto di forza. Vedere in quello che di solito è ritenuta una forma di nostalgia o di malinconia, una forza rigenerante per il futuro». La sabbia nella clessidra sta per finire. Dario Brunori saluta così: «Penso ci siano delle cose belle della nostra terra, dei valori, che appartengono al passato, ma che possono essere recuperate proprio per una visione del diversa futuro». In bocca al lupo Dario! (f.benincasa@corrierecal.it)

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