VIBO VALENTIA Il vento scopre ancora prima di iniziare il nuovo cartello della via che porterà il suo nome, come a simboleggiare la “fretta” di voler svelare quel riconoscimento atteso da tanto tempo. Avrebbe compiuto 34 anni ieri Federica Monteleone, ma la sua vita e i suoi sogni di diventare giornalista si sono tragicamente interrotti quando ne aveva 16. Doveva affrontare un “banale” intervento di appendicectomia all’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia. Da lì uscirà in coma il 19 gennaio 2007, per poi morire pochi giorni dopo all’Annunziata di Cosenza. Un blackout all’origine della tragedia che scosse l’Italia intera, ma in quella sala operatoria, ai tempi inizialmente neanche messa sotto sequestro, tante cose non hanno funzionato. Non c’era, soprattutto, un defibrillatore. «Forse quello gli avrebbe salvato la vita» afferma in lacrime la mamma Mary Sorrentino, che ieri, insieme a Pino Monteleone, il padre di Federica, ne ha donato uno alla città di Vibo Marina. Lo ha fatto al termine della commossa cerimonia di intitolazione di una via nel suo paese. «Per lei questo posto era davvero il giardino del mare. Da qui il mare potrà vederlo sempre e per noi è molto significativo, quando lo abbiamo scoperto è stato un palpitare di emozioni» racconta.
«Per me il 7 febbraio è una data particolare, 34 anni fa diventai mamma per la prima volta» racconta Mary Sorrentino. «Poi nel 2007 scoprì di aver cullato per 16 anni un angelo. In tutto questo tempo ho avuto sempre attestati di affetto che mi hanno fatto comprendere come nella sua breve vita abbia lasciato un segno veramente tangibile, lasciandoci un concentrato di bene e di amore. Noi ci stiamo impegnando per seguire le sue orme e onorare il suo nome». Accanto a lei il marito Pino, i nonni di Federica e tanti parenti e amici che hanno partecipato commossi all’inaugurazione della via. Presenti anche il sindaco Enzo Romeo, i membri dell’amministrazione, il giornalista Pietro Comito che ha ricordato quei momenti drammatici, i rappresentanti delle forze dell’ordine e della Prefettura. Tanta era l’attesa per l’intitolazione di una via a Vibo alla ragazza di 16 anni che nel 2007 entrò nel cuore delle famiglie calabresi. «La proposta è partita da una persona che vuole rimanere anonima, poi è stata supportata da tante persone, da parte nostra è una riconoscenza immensa».
La tragica morte di Federica Monteleone divenne, suo malgrado, un caso emblematico della malasanità calabrese. Sette le persone che furono condannate per la sua morte. «La giustizia non è stata quella che doveva, perché per quanto una pena non possa mai restituire la vita di un figlio, forse con pene più pesanti si poteva evitare anche lo scempio a cui stiamo assistendo ora con una sanità che va sempre più a rotoli. 18 anni fa sentivo parlare di ospedali da campo, ancora oggi se ne sente parlare. La Calabria non merita questo trattamento, Vibo e i suoi cittadini ancora meno. Mia figlia con un semplice massaggio cardiaco si sarebbe salvata». «L’altro giorno – racconta il padre Pino – siamo andati a Pizzo, in un ospedale chiuso era presente un defibrillatore per ogni piano. Perché a Vibo no? A chi interessa che Vibo non funzioni? Perché non c’è una guardia medica a Vibo Marina» si è sfogato il padre Pino, annunciando di voler chiedere un incontro al prefetto.
Presente, tra il pubblico, anche l’ex magistrato e onorevole Doris Lo Moro che, visibilmente commossa, ha ricordato Federica: «Io non l’ho mai dimenticata, sono passati 18 anni da quella morte che ha segnato la vita dei suoi genitori, della sua famiglia e anche la mia. È stata una di quelle cose inaccettabili in cui uno capisce che sulla sanità la politica dovrebbe fare tanti passi indietro e che non si scherza con la vita delle persone». L’ex parlamentare ricorda quello che «è stato un momento difficile anche per me, un momento che non dimenticherò mai. Il ricordo più angosciante che ho è quando stava ormai morendo, ma era bellissima e dava ancora un’impressione di vitalità assoluta e queste cose lasciano il segno. Perdere un figlio è il dolore più grande, questa famiglia l’ha vissuto e deve essere da monito a tutto i medici che fanno un lavoro difficilissimo. Anche se quanto successo a Vibo non c’entra con colpe mediche, ma è stato qualcosa di peggiore. C’è stato anche un tentativo di nascondere la verità che io ho contrastato con tutte le mie energie, perché su queste cose bisogna avere la dignità di non coprire i colpevoli e per loro avere la dignità di ammettere le proprie colpe».
«Una triste pagina della nostra città» ha aggiunto il sindaco Enzo Romeo. «Non si deve più ripetere, siamo vicini alla famiglia che ha continuato a combattere per chiedere una sanità migliore. È una battaglia che faremo nel nome di Federica». Probabilmente ci sarebbe stato un altro se l’intervento si fosse fatto nel nuovo ospedale, la cui prima pietra fu messa due anni prima la tragedia di Federica Monteleone. Il nosocomio, che sarà forse finito nel 2026, porterà il suo nome, come promesso diverse volte dalla politica regionale. «Abbiamo saputo anche di una via a Serra San Bruno, del centro trapianti a Reggio. Federica è veramente immortale. Mi manca da morire, la mia vita non è la stessa senza di lei, però sapere che ha lasciato una traccia veramente profonda non è da tutti». (ma.ru.)
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