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il racconto

Lo zio d’America

Zibello è un graziosissimo comune, ricco di storia, di circa 3.100 abitanti, sito nella bassa parmense, in Emilia Romagna. Nonostante l’esiguo numero di residenti, però, questo piccolo borgo ha un…

Pubblicato il: 09/02/2025 – 7:30
di Antonello Commisso
Lo zio d’America

Zibello è un graziosissimo comune, ricco di storia, di circa 3.100 abitanti, sito nella bassa parmense, in Emilia Romagna. Nonostante l’esiguo numero di residenti, però, questo piccolo borgo ha un indiscusso primato mondiale da vantare.
Infatti esso è la patria del “culatello”, sicuramente il più squisito fra i salumi di suino, ottenuto dalla parte più pregiata della coscia del maiale, privata dell’osso, della cotenna e del muscolo e la cui carne viene salata, aromatizzata  e stagionata per almeno 12 mesi.

Il suo sapore è dolce e delicato con note di spezie e, a partire dal 1996, a causa della sua denominazione DOP, la produzione è limitata alla zona di Zibello e di soli altri sette comuni e si aggira intorno alle 82.000 unità annue, numero determinato dalle uniche 23 aziende autorizzate.
Una piccolissima parte di esso viene consumata “in loco” o in Emilia-Romagna, e la restante grande maggioranza viene esportata in altre Regioni e soprattutto all’estero. Tutto ciò dà ragione della rarità e del costo estremamente elevato del prodotto, di certo maggiore fra i più rinomati prosciutti italiani.
La storia del culatello è remotissima, tuttavia la prima testimonianza scritta risale al 1735, in un documento del Comune di Parma. I produttori di questo particolare insaccato vengono chiamati in gergo “culatellér” e, in passato, non essendoci regole erano molto più numerosi e i segreti della lavorazione venivano trasmessi con grande segretezza da padre in figlio, con particolare cura al tipo di taglio, di aromatizzazione e ai metodi della  corretta stagionatura.

Eolo Centolire era maestro “culatellér” di Zibello, che nel 1951 aveva aperto il suo laboratorio sulla centralissima via Roma, a poche decine di metri da Piazza Giuseppe Verdi, il cuore pulsante del Comune. Naturalmente Eolo aveva appreso l’arte di produzione dell’insaccato dal padre Rivo,  un “masèn”, ossia un macellaio, molto stimato, ma ormai incapace di lavorare poiché ottantenne.
Per Centolire figlio, le cose cominciarono ad andare subito bene, tanto che la voce della prelibatezza del suo prodotto si sparse prima nei vari quartieri dell’abitato, poi nei Comuni limitrofi, fino a giungere prima a Parma e poi addirittura sia in tutta la Provincia che in quelle adiacenti.
Naturalmente Eolo dovette adattarsi per quanto possibile all’inattesa richiesta, assumere tre collaboratori “masèn” e farsi aiutare anche dalla moglie, “sgnora” Igina Prestissimo. Nonostante ciò, data l’estrema laboriosità di lavorazione e maturazione del culatello, Centolire non riuscì mai a superare la cifra, peraltro notevolissima, di 1.400 pezzi all’anno, di cui un importante numero veniva esportata all’estero,  lasciando insoddisfatta parte della clientela, ma raggiungendo delle entrate monetarie decisamente notevoli.

Alla famiglia Centolire, mancava solo una cosa, ossia un erede, maschio o femmina che fosse. Sposati dal ’52, il trentenne Eolo e la diciottenne Igina, pur provando ripetutamente, non riuscivano però a generare, tanto da convincersi che uno dei due coniugi fosse sterile.
Dopo ripetuti tentativi falliti, finalmente i due sposi, nel settembre 1954 ebbero una coppia di gemelli, due maschietti, uno biondo e l’altro bruno, a cui diedero rispettivamente nome Tazio e Lenin. Sebbene ben educati e molto curati, una volta adolescenti, nessuno dei due figli volle continuare gli studi, tanto che Eolo, per non lasciarli allo sbando, fu costretto nel 1968 a portarli con sé a lavorare in laboratorio.
Ai due nuovi arrivati, non molto interessati all’attività paterna, si aggiunse inoltre Eracle Prestissimo, fratello minore della “sgnora” Igina, che a 18 anni aveva preso il diploma all’Istituto Agrario “Galilei” di San Secondo Parmense ed era entusiasta del lavoro di apprendista  “culatellér”, cosa che lo faceva andare molto d’accordo col cognato. Negli anni a seguire, il lavoro e i ricavi continuarono ad andare per il meglio, fino a far diventare Centolire uno fra i tre o quattro uomini più abbienti di Zibello.

Ma la sorte che fino ad allora era stata molto benevola con Eolo, improvvisamente gli voltò le spalle. Infatti nel 1974 fu colpito da una forma estremamente aggressiva del morbo di Alzheimer, e tale malattia neurodegenerativa in pochi mesi ne causò il decesso.
Venendo a mancare il marito, la “sgnora” Igina si trovò perduta. Lei non aveva mai collaborato attivamente alla produzione dei culatelli. Nemmeno i dipendenti e i figli, ormai maggiorenni, conoscevano le corrette procedure e i segreti per la produzione ottimale degli insaccati.
La “sgnora” Prestissimo, però, dopo un periodo di scoramento, non si perse d’animo e dotata di carattere com’era, prese una decisione radicale: smettere definitivamente con la produzione dei culatelli e riconvertire il laboratorio in qualcosa di decisamente nuovo, ma sempre in ambito alimentare.

Nello stesso 1974, nacque così la “Pasta fresca Zibello”, un’impresa che proponeva sul mercato una novità ancora poco vista in ambito commerciale. Nel Comune, così come in quelli limitrofi, la pasta fresca, ripiena o meno che fosse, era solitamente fatta in casa, soprattutto nelle occasioni importanti per la gioia dei buongustai e in paese non vi erano attività imprenditoriali dedicate alla sua produzione e vendita quotidiana al pubblico.
La nuova iniziativa della “sgnora” Igina si rivelo subito ed inaspettatamente un successo. Così come era stato per il culatello, ora tortelli di zucca, di carne, di ricotta e spinaci, di squacquerone e noci, ravioli di brasato, di prosciutto e parmigiano, di ricotta e salvia, nonché lasagne, pappardelle, spaghetti, bucatini, tagliatelle e numerose altre varianti di pasta in catalogo e in esposizione, venivano richiesti continuamente non solo nel Comune, ma anche in numerosi altri centri urbani, vicini o lontani che fossero.
Così come per i fornai, il lavoro nell’azienda Prestissimo iniziava, con la  “sgnora” a dirigere le operazioni ed i tre vecchi collaboratori ex  “masèn”, ora riconvertiti in pastai, fra le tre e le cinque del mattino, in modo da consentire ai due giovani Centolire, che oramai avevano superato la maggiore età ed erano dotati di patente, nonché allo zio Eracle, di partire per le cinque e mezza con i tre furgoncini della piccola impresa e distribuire la pasta fresca ripiena ai negozianti e ai ristoratori nel raggio di oltre 40 chilometri.

Tra il 1974 e il 1977, le cose andarono per il meglio, ed il fatturato cresceva continuamente, così come, ovviamente, gli utili,. Ma stavolta, purtroppo,  fu la tecnologia a mettersi di traverso rispetto l’attività della  “Pasta fresca Zibello”. Infatti già dai primi anni ’70, prima timidamente, poi in modo sempre più consistente, cominciarono ad essere immesse sul mercato “macchine per pastifici”, come le si chiamavano allora.
Esse erano sostanzialmente composte da una vasca di metallo che fungeva da impastatrice e da una o più “trafile” che determinavano il tipo di pasta, come per esempio, penne, rigatoni, linguine ecc…Tali macchine funzionavano ad energia elettrica ed erano di dimensioni ridotte, tanto da non raggiungere il metro e mezzo di altezza.
Fu così che molti negozi di generi alimentari e ristoranti, acquistando in numero sempre maggiore queste macchine, si resero indipendenti nella produzione di pasta fresca, infliggendo un duro colpo alle vendite dell’impresa della  “sgnora” Igina. Ma il suo carattere era da vera imprenditrice, tanto che continuò a proporre sul mercato la sua pasta ripiena, quasi impossibile da produrre con macchinari in uso ai semplici ristoratori e commercianti.

La sua azienda, seppure ridimensionata, tanto da costringerla a licenziare i tre storici collaboratori, comunque prossimi alla pensione, ed a vendere due dei tre furgoncini oramai inutili, continuò comunque, se non a prosperare, a sopravvivere dignitosamente con l’aiuto dei due figli. L’unica e dolorosa novità per Igina Prestissimo avvenne però in ambito familiare.
Il fratello Eracle, da lei molto amato, nell’ottobre 1978, conobbe infatti una ragazza ventottenne americana decisamente anticonformista di nome Ava Leroy, la quale esibiva una fluida capigliatura bionda e degli ammalianti occhi azzurri. Il “burdèl” come lo definiva la sorella, ossia “ragazzino”, oramai di trentotto anni e con poche esperienze in campo femminile, se ne innamorò all’istante e, evidentemente ricambiato, la sposò subito in Comune e nel giro di un paio di mesi si trasferì con lei a Chicago, nell’Illinois.
Nonostante questa inattesa ferita sentimentale, la “sgnora” continuò la sua attività solita, ma con l’aiuto sempre più sofferto dei due gemelli. Essi, oramai trentaquattrenni, come si dice, “scalpitavano”, evidentemente stanchi di produrre prima culatelli e poi pasta ripiena e desiderosi di farsi una vita propria. Ma, ancora una volta, il carattere di Igina, ben conoscendo la scarsa propensione alla fatica dei figli, ebbe la meglio, intralciando con autorità, e a volte astuzia, ogni loro pur minima iniziativa di rendersi autonomi.

Fu così che trascorsero anni e decenni dalla partenza di Eracle, che le solite incontrollabili voci di paese davano chi come affermassimo top manager della “Apple” e chi come ricchissimo proprietario di un Ranch nel New Mexico.
In realtà le uniche notizie del fratello le possedeva la sorella Igina, tra i quali intercorreva una regolare corrispondenza, che lei faceva filtrare col contagocce ed era del tutto evasiva sulla attività di Eracle. Questo però non faceva che confermare, secondo i gemelli Tazio e Lenin, le voci che circolavano in paese, ed erano convinti che la madre li tenesse all’oscuro dei successi dello zio, per timore che loro andassero a raggiungerlo, per inseguire una prospettiva di vita certamente migliore,  lasciandola sola.

Ma era destino che la famiglia Centolire fosse, in un modo o nell’altro, bersagliata ancora dalla sorte. Nel dicembre 1996, accadde infatti  che la “sgnora” Igina, salita in casa su una sedia per collocare il puntale dell’albero di Natale, cadde e si procurò quella che i medici dell’Ospedale di Fidenza sentenziarono essere una seria lesione al midollo spinale.
Nonostante due dolorosi interventi chirurgici e parecchi mesi di fisioterapia, per Igina Prestissimo non ci fu nulla da fare e, pur mantenendosi sempre lucida e, per quanto possibile attiva, soprattutto in cucina, il suo destino fu quello di restare su una sedia a rotelle senza più potersi recare in laboratorio.
Anche per i figli questo fu un colpo durissimo, sia per lo smisurato affetto che, nonostante tutto, provavano per la madre, che per l’impossibilità pratica di continuare il lavoro della piccola impresa. Né Tazio né Lenin erano infatti in grado di far funzionare le macchine impastatrici che anche la “sgnora” aveva anch’ella acquistato, ma soprattutto erano totalmente incapaci di produrre pasta ripiena, anche se magari di bassa qualità.

Con il consiglio a malincuore della madre, decisero così di riconvertire nel 1997 il pastificio in semplice negozio di generi alimentari, di cui dai tempi del padre possedevano la licenza di vendita, impegnando il poco capitale che i due fratelli avevano, e un po’ di quello materno, nel rifornirsi del bancone, dell’affettatrice, della bilancia, del congelatore e soprattutto della merce da vendere.
Ma Zibello era un paesino di poco più di tremila abitanti, con altri tre negozi simili, e gli affari, per quanto Tazio e Lenin si prodigassero nel praticare sconti e proporre offerte ai potenziali acquirenti andarono, praticamente da subito, davvero molto male. Nonostante ciò i gemelli tennero duro per un paio d’anni, finché, alla fine del 1998 furono costretti a chiudere.
I fratelli dovettero così sopravvivere con la misera pensione di Igina, nonché con i soldi che quest’ultima aveva previdentemente messo da parte e che la madre dispensava con parsimonia, dando ai due centomila lire a testa alla settimana.

Col tempo entrambi i fratelli, come si dice, “persero la rotta” e, anziché cercarsi un lavoro che li facesse vivere dignitosamente, presero strade che la madre, se lo avesse saputo subito, avrebbe fatto e detto di tutto perché le abbandonassero alla svelta.
Tazio, infatti si diede al gioco delle carte al “Bar Antica Parma”. In realtà non era c’era niente di azzardo, solo scopone, tresette e briscola Ma questa per lui era diventata la quotidiana ossessione pomeridiana e serale che, tra l’altro, gli faceva perdere tra le 70 e le 90.000 lire la settimana.    
Ancora peggio si comportava Lenin, che sulla sua vecchia Panda girava di notte come un vampiro assetato per le strade disabitate, alla ricerca di qualche prostituta nigeriana che lo soddisfacesse per quindici o ventimila lire. E c’erano notti in cui non si trovavano puttane nemmeno a pagarle.
Sia per l’uno che per l’altro dei fratelli, le centomila lire a settimana, poi divenuti 75 euro dal 2002, non bastavano affatto, tanto da dover richiedere piccoli prestiti a parenti, amici e addirittura semplici conoscenti. “Piccoli prestiti” che però, sommandosi nel tempo, giunsero a superare fra lire e nuova moneta i 12.000 euro.

«L’unica soluzione per avere del denaro e rifarci una vita degna – si dissero i due fratelli in una serata di lucidità di fine giugno del 2003 – è vendere il negozio o la nostra casa soprastante, ma -dovettero ammettere subito- mamma mai e poi mai ci darà l’autorizzazione, dato che innanzitutto occorre la sua firma».
Ancora una volta il Fato sembrò intromettersi nelle vicende della famiglia Centolire. Nel settembre dello stesso anno, per un ictus improvviso, morì infatti la “sgnora” Igina, lasciando sinceramente affranti i due gemelli. Ma d’altro canto dando loro speranza che vendere casa o negozio, pagare i debiti contratti ed iniziare una nuova vita potessero essere finalmente sogni alla loro portata.
Così quando ricevettero la lettera di convocazione del Notaio Astorino Pervinca, si emozionarono solo per l’aspettativa dei quattrini che prima il padre e poi la madre nei “giorni grassi” avevano messo da parte, e si misero a scommettere sull’entità della cifra, per Lenin non inferiore a 30.000 euro a testa, mentre per Tazio di certo superiore ai 40.000.

Quando il 14 settembre entrarono nello studio del notaio, restarono straniti per il fatto che oltre il Dottor Pervinca, in una sedia di fronte alla sua scrivania sedesse quello che sembrava essere un “homeless”, ossia un barbone senzatetto. Sembrava un settantacinquenne piovuto in quella stanza direttamente da Woodstock o da una Comune hippies o dei Figli dei fiori.
Era alto, magrissimo, vestito con jeans sbiaditi, una vecchia camicia a righe rosse e blu ed una giacca invernale che aveva conosciuto certo tempi migliori, portava lunghi capelli  grigi raccolti in una coda ed esibiva due orecchini, uno per lobo. Solo la statura e gli occhi di un azzurro pallido, sembravano rammentare qualcosa ai due gemelli, anche se non avrebbero saputo esattamente dire cosa.
«Se non lo avete ancora riconosciuto – intervenne seccamente il Notaio -, questo è vostro zio Eracle Prestissimo, arrivato direttamente qui da Cincinnati, nell’Ohio, per espressa volontà di vostra madre, che mi ha chiesto di inviargli i soldi per il volo e la permanenza. Tutto ciò perché il signore, che negli Stati Uniti viveva in una “Shelter”, ossia quelle che in Italia chiamiamo “Casa-famiglia”, ossia dimore per persone in difficoltà, è espressamente citato a più riprese nel testamento della signora Igina».

«Passo col leggere prima i brani più significativi e poi il documento nella sua totalità  -disse il Dottor Pervinca -. “La sottoscritta ecc… ecc…, nel pieno possesso ecc… ec…, essendo venuta a conoscenza della vita dissoluta tenuta dai miei figli Tazio e Lenin, a partire dall’anno 1998 come riferitomi dalla badante, signorina Milena Novak, e ripetutamente confermatomi dai loro numerosi creditori, nonché tenuto conto della loro scarsa attitudine alla ricerca di un lavoro decoroso e ben remunerato, dispongo che la mia quota dell’abitazione in cui risiedo, nonché del negozio sottostante siano assegnati al mio bisognoso fratello Eracle Prestissimo. Stessa cosa dicasi per il deposito di 125.000 euro presso la Banca…”».
Il Notaio non ebbe il tempo di proseguire, in quanto i gemelli persero tutti e due il controllo e in preda ad evidenti shock nervosi, aggredirono lo zio con prima con urla e poi con calci, pugni e sputi, sfasciandogli inoltre una sedia sulla schiena, tanto da rendere indispensabile una chiamata al 118 per un loro immediato ricovero in ospedale, sia per l’aggressività mostrata che per il tremore semiconvulsivo successivamente manifestato da entrambi.

Naturalmente la firma del testamento per i due fu rinviato e al momento lo sottoscrisse solo Eracle, mentre, ripresosi dopo tre giorni di ricovero e numerose flebo di calmanti, per necessità i gemelli lo siglarono, manifestamente schifati, una settimana dopo.
Col passar del tempo però, i due si resero conto di alcune cose. Primo: la madre aveva sempre saputo della condizione di estrema indigenza del fratello, tramite una costante corrispondenza tenuta grazie ad un pio Ordine di Suore che aveva conventi, e quindi recapiti, in praticamente tutti gli “States”.
Secondo: probabilmente mamma Igina, saputo dell’abbandono da parte della moglie dopo un anno di matrimonio, il cui contratto coniugale non aveva però validità negli USA, e della deriva a cui era andato incontro Eracle, non aveva mai mancato d aiutare finanziariamente il fratello, per quanto esigua possa essere stata la cifra.
Terzo, e più importante, messosi cosi le cose Tazio e Lenin, reprimendo il rancore, pensarono di andare a porgere le loro scuse allo zio, che ora risiedeva all’”Antica Corte Pallavicina”, il più importante albergo di Zibello.

Così, un giorno di ottobre i due si presentarono da lui a testa china, supplicandolo di perdonarli e scusarli per quanto accaduto. Inoltre, chiesero timidamente ad Eracle cosa intendesse fare della sua parte di casa e del negozio. La risposta fu repentina come uno schiaffo: «Li ho venduti» disse tranquillamente l’uomo, lasciando senza fiato i nipoti.
«E noi? Cosa faremo? Dovremmo dividere l’appartamento con degli sconosciuti?» chiesero quasi in coro i gemelli. «Ricompratelo!», rispose deciso Eracle. «Ricomprarlo? -ribatte Lenin – Ma se non abbiamo un centesimo». «A questo c’è rimedio – rispose lo zio -. Io vi anticipo la cifra per riacquistare l’abitazione che non è altissima, e voi verrete a lavorare con me presso uno dei laboratori autorizzati a produrre il culatello che ho acquistato dai Ferrarin, e se vi comporterete da veri “masèn” sono disposto ad abbonarvela».

«Del resto – riprese Eracle – di tutta la famiglia, dato il disinteresse che vi ha sempre distinto, vostro padre ha insegnato solo a me i segreti per la sua produzione. E io, nonostante tutte le sciocchezze che ho fatto buttando via la mia vita,  sono  e resterò solo e sempre un autentico “culatellér! – esclamò alzando fiero per la prima volta la voce Eracle – E a voi due, per il legame di sangue che ci unisce, vi prenderò con me».
«Io cercavo l’America – riprese -, senza rendermi stupidamente conto che con il mestiere che avevo per le mani, essa era in casa. E se foste state un po’ più collaborativi verso vostro padre, ora sarebbe vostra e non mia. Ma avete volutamente ignorato i suoi insegnamenti per la produzione dell’insaccato e ora l’unica strada per redimervi è la generosità di vostro zio, che vi farà lavorare e guadagnare per vivere più che dignitosamente. Ricordatevi: con i culatelli di Zibello, per chi ci ha saputo fare, l’America è sempre stata qui! Ed io sono lo zio disgraziato che è tornato ed è pronto ad aiutarvi il più possibile. Sono lo zio d’America!».

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