Pensieri calabresi di questa settimana incrociati con Sanremo, l’ombelico del mondo in queste ore. Anche Nicola Gratteri non ha mancato l’appuntamento arrivando a Casa Sanremo, lo spazio parallelo dell’Ariston per raccontare che nella vicina Ventimiglia si piazzò la prima transumanza di ‘ndrangheta arrivata da queste parti per lavoro e con i più malandrini che s’inventarono il locale in trasferta. A 1.139 chilometri sta l’altro toponimo di questa storia, a San Fili luogo ideale per scelta del Brunori cui si parla e si vede dal Pollino allo Stretto come da tempo non avveniva nelle Calabrie divise.
Sanremo e San Fili toponimi da radici simili. Quello calabrese dicono derivi da Sanctus Felix quindi San Felice, quello ligure dal nome del vescovo Romolo. Felice, Brunori, di sceglierlo come Romolo di un luogo ideale, pensatoio e laboratorio di ispirazione per amor di moglie, Simona Marrazzo, coetanea di età di Dario e che nello staff brunoriano è stata sempre presente, parte attiva di questo Clan Celentano 4.0. Simona a quanto pare voleva andar via da San Fili perché ci sta che cerchi un altro altrove, ma come è noto ha prevalso Dario e San Fili è diventato il suo paese trasformandolo in una sorta di Langa calabrese pavesiana.
Un paese sovrastato dal monte Luta tra Cosenza e Paola. Quando i cosentini passano dalla strada costiera quel nido di vespe richiama il presepe. Sarà pretesto ora per andare a guardare il celebre albero delle noci che in queste ore è illuminato da luci rossoblù (ma guarda le coincidenze) accanto alla casa sotto il campanile che il cantautore ascolta nei suoi rintocchi da tempo lento. E che malumore brunoriano quando il meccanismo sonoro si è interrotto per guasto, la comunità si è subito adoperata per presto ripararlo.
L’ozio creativo brunoriano sanfilese è ben protetto e accolto dalla comunità. A partire dalla giovane sindaca, Linda Cribari, che Dario lo ha conosciuto quando ancora non era prima cittadina. Brunori si è sempre adoperato per il paese rispondendo all’associazione giovanile che pratica restanza militante partecipando alla manifestazione “Una notte al campanile”. Dario attrazione della festa a discutere di San Fili assieme Mirko Onofrio, e prima e dopo giochi popolari Dj set, musica, mercatino e cibo. La piazza di San Fili quella sera sembrava quella della festa patronale degli anni Dieci quando in paese i residenti erano oltre 5.000 (oggi sono esattamente la metà). Poi come i loro fratelli di altre montagne e paesi iniziarono ad andare verso terre australi e lontane e in Canada la comunità oggi ha circa 6000 discendenti nati da sanfilesi.
Su Rai International stanotte sfideranno il fuso orario per tifare Brunori in netta connessione con i paesani che hanno già prenotato i cento posti del teatro Francesco ma la sindaca Cribari ha già predisposto uno schermo gigante anche in piazza per non lasciare nessuno a casa.
San Fili vicino a Cosenza, ti fermavi per bere acqua buona, paese di foreste, di gelato artigianale buonissimo quando ancora il Gambero Rosso era solo cartaceo e gli agriturismi non erano ancora sorti ma il territorio nel piatto era scoperta di trattorie li nascoste e accoglienti.
Luogo di terze case di borghesia agiata, la società contadina e boscaiola diminuita ma non sparita conviveva con ferrovieri e presidi di scuola. San Fili con le estensioni di Bucita dove le magare dicono che siano quelle cattive truculente e contrapposte a quelle della magia bianca del centro storico che “sfascinano” e sono narrate come naturopate in questa new age di borsette con madonnine ed erbe naturali, sorta di sacro e profano che l’ambasciatore Brunori ha portato nella capitale della società dello spettacolo. E poi i Balcani sanfilesi proseguono verso la Giuranda e oltre nei boschi dove stava il buen ritiro dei figli del generale Dalla Chiesa, le case estive abitate dalle tribù giovanili dei musicisti che preferivano acquartierarsi da queste parti dove negli anni Ottanta a Gesuiti su una casa di campagna sopra i pioppi si radunò una folla di giovani ad aspettare il nuovo anno ballando fino all’alba e alcuni di loro erano vestiti con lo stesso outifit sanremese di Achille Lauro.
La sindaca sta preparando il video augurale per Brunori che sarà postato sulla pagina Facebook del Comune prima che Dario salga sul palco. In questo paese dove la lotta politica s’infiamma nei giorni di elezioni non mancano le belle menti legate al paese. Antonio Malfitano con il sostegno delle amministrazioni è intellettuale rigoroso e da queste parti ha aperto una scuola di cinema in cui insegna teatro e settima arte, e questo regista e sceneggiatore pasoliniano è stato celebrato per il premio numero 101 ottenuto in giro per il mondo.
Malfitano non ha pubblicato foto con Dario ma l’inquadratura del fumetto da lui sceneggiato con Davide Rende che riproduce l’immagine di Brunori a San Fili in una storia horror e magaresca su un antropologo che va ad Arcavacata e si ferma in paese per un guasto all’automobile.
Non c’è un albero delle noci nella fortunata storia arrivata alla terza edizione ma uno di castagne appena fuori da San Fili dove una donna viene bruciata viva perché l’immaginazione corre in queste terre dove i Valdesi furono braccati come palestinesi dell’antichità nella vicina San Sisto che però non abbiamo spianato per costruirci residence trumpiani. Qui alla fine si convive e si vive e si riscrive il tempo e lo spazio. Fabrizio De Andrè ricco di famiglia e di possibilità scelse di andarsene all’Agnata a ristrutturare uno stazzo gallurese semidistrutto vicino ad una foresta di querce e non se ne pentì mai neanche quando finì con Dori legato con le mani all’Hotel Supramonte. Stigma calabrese che ancora qualcuno rinfaccia anche a noi calabresi per svilire l’etnia brunoriana. Ma è macchia passata, quasi cancellata. Con razioni di scirubetta, dolce improvviso all’apparire della coltre bianca immacolata nel tuo borgo quando scattavi anche una foto ricordo della nevicata. Miele di fico da versare nella neve nel bicchiere e guai al paesano opporre il tuo snobistico sapore cittadino della versione al caffè da granita invernale estemporanea. Non si tratta di condizione sociale, chiedere al professore Gianluca Passarelli, fine cervello di casa Mulino di casa nei talk tv che contano e che a San Fili non manca di portare autorevoli relatori per discutere e celebrare il giurista Mario Nigro, gloria locale della storia del Diritto italiano. Perché l’Italia l’hanno fatta anche gli italiani dei mille paesi interni.
E questa gara di Brunori ci serve a ricordare della pietanza che quelli colti chiamano majatica ma che a San Fili i più appellano “nchiampa”, quel cibo da poveri con farina, acqua e cipolla che oggi è la madelaine di un Novecento che ha modificato la fame e il consumo. Un’acqua della Sila confeziona il suo messaggio con la canzone di Brunori (sponsor o furbata?), un produttore calabrese a Sanremo al cantautore mette in mano ‘ndujia e la sua bottiglia con etichetta non sapendo che Brunori è anche un produttore di vino naturale e di altre delizie in un’azienda creata con tre cari amici che si chiama “le quattro volte” come una sua canzone. Quella che recita: “La prima comunione, il primo funerale, la festa del paese, la morte del maiale”.
Visto che Brunori il video della canzone sanremese l’ha spremuto dalla conoscenza di un film ungherese mi viene il sospetto che le Quattro volte siano anche quelle del film di Michelangelo Frammartino calabrese della diaspora che a Cannes ha mostrato il nostro tempo delle stagioni e della vita incantando il mondo anche se da noi quasi nessuno se ne è accorto. Pensieri calabresi su Joggi dove Brunori è stato bambino e dove ogni estate il borgo albanese si popola per un giorno con la musica indie, su Guardia Piemontese che fu valdese come San Sisto, su Siena dove Dario ha studiato e se ne è andato via come fece Gianna Nannini evitando di essere un cantautore di scuola toscana e costruendo una Seattle ideale tra bosco e giardino E quindi con il sorriso, in questa geografia brunoriana materiale e immateriale, ritorna il mantra della terra crudele convinti di essere persone buone che portiamo in testa le corone di spine. Non chiamiamola però speranza. Diceva Mario Monicelli che la speranza è una trappola e rincarava “Quando vi dicono di sperare, vi stanno prendendo per il culo”. Meditiamo su Brunori invece che dice “La militanza accende i cuori”. Fosse anche la militanza paesologica di San Fili, Martone, Brancaleone. Non sono solo canzonette. Buon finale di Sanremo a tutti. (redazione@corrierecal.it)
(Foto copertina: Ansa)
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