Dopo circa un quarto di secolo di ministero sacerdotale, tutto mi sarei atteso tranne di dovermi confrontare anche con il “vangelo secondo Trump”. L’ultima messa in scena alla Casa Bianca con tanto di foto da “ultima cena”, che ritrae il presidente al centro della camera ovale attorniato da un gran numero di telepredicatori, di primo acchito fa sorridere chiunque è avvezzo alle americanate. Salvo poi, un’attenta disamina di ciò che è accaduto, oltre a far riflettere preoccupa e non poco visti i precedenti che la storia ricorda come capi che si ritenevano dei o mandati-illuminati da Dio. Personalmente mi sembra una sorta di calvinismo redivivo che, come ci ha insegnato Max Weber, fa da sfondo alla mentalità capitalista come una sorta pre-condizione culturale insita in una parte della popolazione europea. A dirigere “l’ufficio per la fede”, inaugurato qualche giorno fa alla Casa Bianca, Trump ha voluto Paula White, considerata da tempo sua consigliera spirituale. La stessa che poco più di quattro anni fa si era unita al coro dei manifestanti dinanzi al Campidoglio, poi sfociato in quella sorta di insurrezione violenta mai verificatasi nei decenni precedenti. La White in quella occasione aveva pregato “affinché Dio concedesse ad ogni partecipante una santa audacia e che ogni avversario venisse abbattuto nel nome di Gesù”. Tutto questo fervore religioso, ha instaurato una sorta di non meglio definita “teologia” della prosperità, che continua a sostenere ancora oggi che attraverso il potere della fede i credenti possano ottenere ricchezza. Più che teologia, a mio sommesso avviso, si dovrebbe meglio definire come un “pensiero religioso” assai diverso ad esempio dalla teologia della liberazione che, al contrario, tende a porre in evidenza i valori di emancipazione sociale e politica presenti nel messaggio cristiano, in particolare l’opzione fondamentale per i poveri così come essa si evince all’interno del dato biblico e così come il Vangelo di Luca di oggi VI Domenica del tempo ordinario, ci ricorda. A dare inizio a questa corrente di pensiero furono il teologo Gustavo Gutiérrez, di origine peruviana, l’arcivescovo Hélder Câmara, il teologo Leonardo Boff, entrambi brasiliani, e Camilo Torres Restrepo, colombiano. Questo nuovo approfondimento teologico non ha avuto vita facile all’interno della Chiesa, fino a quando Giovanni Paolo II, nel messaggio del 9 aprile 1986 indirizzato ai vescovi del Brasile, le dette “il riconoscimento ecclesiale riconoscendola come una nuova tappa della riflessione teologico-sociale della Chiesa”. Insomma una bella differenza: da una parte c’è chi è profondamente convinto che Dio vuole che i suoi fedeli siano ricchi sani e felici. I fedeli sono incoraggiati a visualizzare ciò che desiderano e a dichiararlo con fede, considerandolo già ricevuto. Dall’altra, c’è chi ritiene che quel “beati voi poveri” (Lc 6,20), sia tutt’altro che una alienazione religiosa o promessa futura del paradiso funzionale a mantenere l’ingiustizia sulla terra. Il fatto che Dio in Gesù Cristo si sia mostrato povero tra i poveri è un motivo fondante per impegnarsi a lottare perché sia eliminata ogni forma di ingiustizia sociale e forma di possesso e di potere fine a se stesso. Il modo con cui porre in essere questa resistenza e questa lotta, ce lo indica lo stesso Cristo: prendersi cura di tutti coloro i quali vivono in condizione di sofferenza e di povertà. Preoccupante, allora, questa visione religiosa che tende a considerare i poveri dotati di una “fede insufficiente” quindi marginalizzati, se non addirittura maledetti anche da Dio, a fronte di una prosperità “benedetta” che è il risultato di una fede individualista che tende ad esacerbare le disuguaglianze. Insomma, una sorta di fede che alimenta un pensiero ed una azione politica neoliberista, che tende a sminuire ogni forma di autentica solidarietà. Si veda, a tal proposito, l’ultimo discorso rivolto ai leader europei da parte del vicepresidente degli Stati Uniti Vance, che ha accusato l’Europa di perdita dei valori comuni e di aver tradito i valori condivisi.
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