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La misteriosa storia degli 88

Nel giugno del 2023 il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha annunciato uno dei provvedimenti del Governo previsti dalla dichiarazione di intenti per la lotta contro l’antisemitismo, ovvero…

Pubblicato il: 04/03/2025 – 9:40
di Bruno Gemelli
La misteriosa storia degli 88

Nel giugno del 2023 il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha annunciato uno dei provvedimenti del Governo previsti dalla dichiarazione di intenti per la lotta contro l’antisemitismo, ovvero il divieto ai calciatori, dalla prossima stagione calcistica, di indossare la maglia numero 88.
Perché?
Perché il numero 88 viene usato nei gruppi neonazisti per simboleggiare il saluto Heil Hitler (l’H è l’ottava lettera dell’alfabeto), da qui il saluto codificato nazista.
Per la cronaca occorre dire che in Italia, sempre in ambito calcistico, fece scalpore, sollevando critiche, ma anche acclamazioni da tifoserie orientate verso posizioni di destra estrema, l’aver indossato magliette col numero 88 da parte di Mateusz Praszelik, Gigi Buffon e Marco Borriello, che a seguito delle polemiche smentirono di avere simpatie verso l’ultra destra.
Spesso questo numero è associato al numero 14, ad es. 14/88, 14-88 o 1488; che simboleggia le Quattordici parole coniate da David Lane, un suprematista bianco e utilizzato nei titoli di canzoni di gruppi rock di ispirazione nazista, come “88 Rock ‘n’ Roll Band” dei Landser e nei nomi di organizzazioni neonaziste come l’inglese Colonna 88 e la neozelandese Unità 88, ora disciolte.
Fra l’altro l’inserimento di questo numero è vietato sulle targhe automobilistiche austriache.
Ancora per la cronaca bisogna aggiungere che, nel 2014, a seguito di proteste fu fermata la vendita del detersivo Ariel in Germania, la cui confezione includeva una maglia bianca con il numero 88, e l’industria produttrice del detersivo, la Procter & Gamble si scusò per il non voluto riferimento nazista presente nel pacchetto.
L’oasi della libertà dell’uso del riferimento numerico abita nella smorfia napoletana dove la cifra incriminata rappresenta “i caciocavalli”.
La narrazione degli 88 rimanda al cosiddetto “processo a 88 giovani fascisti” che si tenne a Catanzaro nel 1945. Gli 88 imputati erano accusati di associazione sovversiva prevista dall’art. 270 codice penale finalizzata a ricostituire il Partito Fascista di cui era stato ordinato lo scioglimento con il Regio Decreto del 2 agosto 1943. Gli imputati erano accusati di aver compiuto, dopo l’8 settembre 1943, attentati dinamitardi contro una tipografia di Nicastro [oggi Lamezia Terme] dove si stampavano giornali socialisti, case private di noti antifascisti e una caserma dei carabinieri, sempre nel catanzarese. Tutte azioni tese a ristabilire, con la forza delle armi, l’ideologia fascista.
Le arringhe delle parti in causa durarono un mese dividendo l’opinione pubblica del tempo. Il processo durò un mese e, al termine della requisitoria, il Pubblico Ministero, colonnello Oreste Trotta, chiese nove anni di reclusione per i promotori e pene minori per gli altri partecipanti.
La sentenza, emessa il 7 aprile, con pene più severe di quanto richiesto dal pm, provocò la reazione degli imputati che intonarono “Giovinezza”. Trasferiti nelle carceri di Melfi, di Procida e in altre del Meridione, gli imputati furono tutti rimessi in libertà a seguito dell’applicazione dell’amnistia voluta dal Guardasigilli del tempo, Palmiro Togliatti.
Poiché non s’è mai visto l’elenco preciso degli 88 imputati, sorge spontanea una domanda. Ma furono davvero 88 gli imputati? E perché non 87 o 89?
Da qui il sospetto che il numero 88 fosse solo un escamotage per rinverdire il ventennio, una sorta di parola d’ordine nella quale riconoscersi e riconoscere l’idea.
Quest’ultima vicenda fu trattata da diversi libri. Tra cui uno del 1998, “Mezzogiorno e fascismo clandestino 1943-1945” (I.S.S.E.S. pagine 143), finanziato dal presidente pro-tempore della Regione Campania, Antonio Rastrelli (senatore del Msi-Dn) che scrisse la prefazione. L’autore del libro fu Ciccio Fatica, giornalista napoletano che fondò nel 1986 l’Istituto di studi storici I.S.S.E.S.
Probabilmente i tempi non erano ancora maturi per navigare in mare aperto.

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