Lo storico Mario Avigliano ha licenziato il saggio “L’uomo che arrestò Mussolini – Storia dell’ufficiale dell’Arma Giovanni Frignani. Dalla Grande Guerra alle Fosse Ardeatine” (Marlin, 2025). L’uomo in questione era il tenente colonnello dei carabinieri Giovanni Frignani. Egli, ravennate, (suo fratello Giuseppe era deputato fascista) oltre ad essere stato un ufficiale, fu anche un partigiano decorato di medaglia d’oro al valor militare alla memoria durante il corso della seconda guerra mondiale. È stato uno dei martiri dell’Eccidio delle Fosse Ardeatine.
Frignani è uno dei dodici martiri dell’Arma dei Carabinieri che persero la vita nell’eccidio delle Ardeatine, tra cui figurano anche il tenente colonnello Manfredi Talamo, il maggiore Ugo De Carolis, il capitano Raffaele Aversa, i tenenti Genserico Fontana e Romeo Rodriguez Pereira, il maresciallo d’alloggio Francesco Pepicelli, i brigadieri Candido Manca e Gerardo Sergi, il corazziere Calcedonio Giordano e i carabinieri Augusto Renzini e Gaetano Forte.
Riavvolgiamo, per un momento il nastro della storia: l’incarico di arrestare Mussolini fu dato dal Re Vittorio Emanuele III che, destituendo il Duce dall’incarico di capo del governo, le sorti del governo furono affidate al Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio. L’arresto avvenne alle ore 17,20 del 25 luglio 1943. I militari che rispettarono la consegna ricevuta dal monarca pagarono con la vita quell’azione finendo poi morti nella cava romana. Frignani, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 si era dedicato all’organizzazione del Fronte Clandestino di Resistenza dei Carabinieri, sotto la guida del generale Filippo Caruso e in collegamento col colonnello Giuseppe Cordero di Montezemolo. Il 23 gennaio 1944 Frignani fu arrestato dalla polizia tedesca, assieme al maggiore Ugo de Carolis e al capitano Raffaele Aversa, in seguito a delazione, e venne rinchiuso nel carcere delle SS di via Tasso. Fu recluso nella cella n° 2, in compagnia del generale della Regia Aeronautica, Sabato Martelli Castaldi. Venne arrestata, e condotta a via Tasso, anche la moglie Lina, la quale fu più volte costretta ad assistere alle sevizie del marito ad opera delle SS tedesche.
Giovanni Frignani fu poi decorato Medaglia d’oro al valor militare con questa motivazione: «Ufficiale superiore dei carabinieri riuniva attorno a sé numerosi carabinieri sottrattisi alla cattura dei nazifascisti, organizzandoli, assistendoli moralmente e materialmente, inquadrandoli e facendone un organismo omogeneo, saldo, pronto ad ogni prova. Arrestato sopportava per due mesi, nelle prigioni di via Tasso, torture e sofferenze per non tradire la sua fede di patriota ed il suo onore di soldato con rivelazioni sull’organizzazione militare clandestina. Martoriato, con lo spirito fieramente drizzato contro i nemici della Patria piegava il corpo solo sotto la mitraglia del plotone di esecuzione. Fronte Militare della Resistenza – Fosse Ardeatine, settembre 1943-24 marzo 1944». Giovanni Frignani, Raffaele Aversa, Paolo Vigneri furono, dunque, i militari che svolsero lo storico e delicatissimo compito di arrestare il Duce.
Ecco, sempre secondo la storia, i nomi dei principali uomini dell’Arma che affrontarono la tremenda responsabilità di arrestare l’uomo di cui al suo illimitato potere aveva dovuto soggiacere per oltre venti anni il popolo italiano. E con i tre suddetti Ufficiali, Colonnello il primo e Capitani gli altri due, era la schiera dei loro collaboratori: Sottufficiali e Carabinieri che, fedeli pedine del rischiosissimo gioco, diedero tutta la loro fattiva ed efficace cooperazione. I Capitani Aversa e Vigneri, comandanti di Compagnie della Capitale, nel primo pomeriggio del 25 luglio 1943 vennero convocati d’urgenza nell’ufficio del colonnello Frignani, comandante del Gruppo Carabinieri di Roma. I due, fiutando nell’aria l’odore di crisi acuta dopo quanto era trapelato dalla drammatica seduta del Gran Consiglio del fascismo della notte precedente, si affrettarono verso il luogo del convegno presagendo qualcosa di “grosso”. Alla sede del Comando di Gruppo, in via Liegi, dove giunsero separatamente i due Capitani, si trovavano già ad attenderli il colonnello Frignani e il Comandante Generale dell’Arma Angelo Cerica.
Il Generale Cerica, calmo, fissa negli occhi i suoi dipendenti dicendo loro: “Vi affido un compito di estrema importanza per il quale so’ di non fare invano appello al vostro alto senso del dovere. Oggi, fra qualche ora anzi, voi dovete arrestare Mussolini che, messo questa notte in minoranza nella seduta del Gran Consiglio del fascismo, si recherà dal sovrano e sarà sostituito nelle sue funzioni di Capo del Governo […]”, Nessuna consegna forse apparve più ardua di questa ai bravi ufficiali che tuttavia senza batter ciglio rispondono, quasi ad una sola voce ed in tono fierissimi, con dure parole:” Sta’ bene…”. Poi il colonnello Frignani espose, illustrò e commentò nei più minuti particolari ai due capitani le modalità esecutive dell’ordine ricevuto. Poco dopo giunsero in viale Liegi un’autoambulanza e un altro automezzo destinato al trasporto dei militari dell’Arma. In attinenza alle precedenti disposizioni ricevute, i capitani Aversa e Vigneri con i due automezzi si portarono al gruppo squadroni nella vicina caserma “Pastrengo” e fecero approntare un plotone di 50 carabinieri che rimasero agli ordini dell’Aversa per eventualmente affrontare nuclei armati di camice nere fedelissime al Duce.
Il capitano Vigneri, al quale il superiore ordinò in termini drastici la consegna di “catturarlo vivo o morto” scelse, personalmente, tra i militari del gruppo squadroni tre uomini di particolare prestanza fisica e di pronta intelligenza che dovevano prestargli manforte, in caso di necessità, prima di giungere “ultima ratio” alle armi: precisamente i vicebrigadieri Domenico Bertuzzo, Romeo Gianfriglia e Sante Zenon. Essi si dimostrarono subito animati da ferma volontà ed assai lusingati dal favore della scelta. I 50 militari salirono sull’autocarro che venne chiuso accuratamente col tendone, mentre i due capitani e i tre vicebrigadieri presero posto sull’autoambulanza che aveva gli sportelli con i vetri smerigliati. I due automezzi si diressero alla volta di villa Savoia. Sotto il sole infuocato e nel silenzio del meriggio gli ufficiali riunirono il personale in un piccolo cerchio ed il capitano Vigneri rapidamente impartì loro le istruzioni di dettaglio. I carabinieri, che in un primo momento nella caserma Pastrengo avevano accolto con qualche perplessità l’annuncio, intuirono di essere i modesti protagonisti di un grande evento, si rianimarono commossi, bisbigliando tra loro qualche commento, ma si dimostrarono seriamente decisi, pronti e risoluti. L’attesa era tuttavia snervante, i due capitani, compagni d’accademia e vecchi amici, si scambiarono qualche impressione e, reciprocamente, si ripeterono i dettagli dell’operazione imminente.
Giunse finalmente – com’era atteso – il colonnello Frignani, il quale avvertì i due ufficiali che Mussolini sarebbe arrivato in ritardo sull’ora prevista per l’udienza fissata con il sovrano. Entrò poi nella villa dall’ingresso secondario per prendere gli ultimi accordi con i funzionari della Real Casa e, dopo qualche minuto, ritornò presso i suoi uomini. Tra i cinquanta militari dell’Arma ci fu anche un calabrese. Luigi Cubello di Gimigliano che, il 7 giugno 1944 venne fucilato in località Pratarelle di Vicovaro insieme a sette civili perché “incolpato di avere partecipato all’eccidio di cinque militari tedeschi” (su questo non vi è prova documentale, n.d.a). Solo l’annotazione sul suo foglio matricolare, citato in precedenza, gli attribuisce la qualifica di “partigiano combattente.
Quando Cubello fu convocato per la visita di leva il giovane Luigi chiese di essere arruolato nell’Arma dei Carabinieri. Il suo desiderio fu accolto e subito dopo avere preso servizio, nel luglio del 1943, fu inviato a Roma presso la Divisione Carabinieri Lazio. Il fratello Giuseppe ricorda che in quel mese a seguito del voto del Gran Consiglio del Fascismo Mussolini perse la guida del governo, poi affidata dal Re Vittorio Emanuele III al generale Badoglio. Il Duce fu, dunque, arrestato e scortato dai carabinieri comandati dal colonnello Frignani; nel gruppo della delicata missione c’era, come detto, anche Luigi Cubello, come testimoniò suo cugino Francesco Gigliotti, a sua volta carabiniere facente parte della stessa scorta che accompagnò l’ex capo del governo italiano in diverse località fino alla destinazione finale di Campo Imperatore dove, com’è noto, rimase fino alla sua liberazione organizzata dai tedeschi per ordine di Hitler. I carabinieri della scorta, secondo il prezioso testimone, furono arrestati dai militari germanici e ristretti in una prigione sotterranea a Roma dove restarono fino a che furono processati e condannati a morte per fucilazione. Ma la sorte non consentì che quel disegno si compisse: alcuni carabinieri, compreso Luigi e lo stesso Gigliotti, accusarono malori vari riuscendo a farsi ricoverare in ospedale da dove sarebbero riusciti a farsi dimettere in modo avventuroso ed a fuggire per recarsi ma nella sede della Legione Carabinieri Lazio.
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