COSENZA Una mafia agli albori, in una New York quasi malinconica: The Alto Knights – I due volti del crimine è un crime movie impreziosito da una straordinaria interpretazione di Robert De Niro, che veste magistralmente i panni di due boss italo-americani: Frank Costello e Vito Genovese.
Sono gli anni ’50 e i due capi si contendono il potere, il controllo dei business illeciti della Grande Mela. Amici di infanzia, si separano per colpa dei danari: gli affari diventano più importanti dei sentimenti e come spesso accade nel mondo criminale le incomprensioni si superano solo a colpi di pallottole. Genovese assume un killer deciso a far fuori il nemico/amico, l’agguato mortale fallisce e da quel momento il sopravvissuto dichiara guerra al rivale.
E’ un uomo intelligente, freddo ed estremamente diplomatico. E’ partito dalla Calabria alla volta dell’America. Sul passaporto si leggono le generalità: Francesco Castiglia nato nel 1891 a Lauropoli. Il picciotto di Cassano allo Ionio molla la terra natia, insieme alla mamma e alla sorella e corre veloce dal padre per coronare il sogno americano. A New York, si rende protagonista di furti e rapine: finisce nei guai ma riesce a tornare in libertà e quando lo fermano toglie l’asso dalla manica. «Mi chiamo Frank Costello» dice ai poliziotti, il suo nome non è presente in archivio. Da quel giorno, il ragazzino sconosciuto diventerà uno degli uomini più temuti d’America. Dopo il controllo delle forze dell’ordine, Francesco Castiglia verrà cancellato da tutti i documenti.
C’è un altro evento che stravolge la vita del boss calabro-americano, l’incontro con Lucky Luciano. Dalle semplici rapine, passa presto all’organizzazione di bische clandestine, scommesse, gioco d’azzardo e sfruttamento della prostituzione. Il mondo cambia e anche i gangster si adeguano, meno sangue e più dollari. L’equazione piace e molto al boss ebreo Arnold Rothstein e agli uomini con i quali condividerà gloria, potere e denaro: tra gli altri si segnalano Al Capone, Lucky Luciano e Frank Costello. Il modo di condurre gli affari di Rothstein, soprannominato “La mente”, convince il boss originario di Cassano allo Ionio a puntare tutte le fiches sulle collaborazioni. Meno nemici hai su strada e più soldi riesci a guadagnare, ancor meglio se rinvii di qualche mese o qualche anno la sentenza di morte. Seguono incontri con uomini d’onore e giornate trascorse a costruire un impero.
La sua stella brilla nella galassia criminale statunitense e Frank Costello diviene «primo ministro della malavita». Lo chiamano così per via dei rapporti politici con l’organizzazione del partito democratico a New York. Qualche mese più tardi, lungo il boardwalk di Atlantic City si gettano le basi per il grande «sindacato della mafia».
La famiglia Genovese non demorde e minaccia costantemente il rivale e chiunque lo sostiene. Costello viene isolato. Nel 1957, viene decisa la condanna a morte: Vincent Gigante è il killer chiamato a compiere il delitto. L’autista diventato sicario si apposta poco fuori i «lussuosi Majestic Apartments, con vista su Central Park e apre il fuoco, gridando. “Questo è per te Frank”, prima di dileguarsi», come ricorda il professore Antonio Nicaso. Frank Costello viene colpito ma, come accaduto in passato al suo amico Lucky Luciano, sopravvive miracolosamente all’agguato. Il fato è stato clemente, meglio farsi da parte pensa il calabrese di Lauropoli e così il compito di proseguire gli affari e l’eterna lotta con i Genovese passa ad Albert Anastasia. E’ calabrese anche lui, originario del Vibonese. Ricopre il ruolo di capo della commissione di Cosa nostra americana e con Costello i rapporti sono ottimi. Ma la guerra con Vito Genovese è impari, il boss di origini campane dispensa ordini di morte ai “suoi” spietati killer che uno ad uno fanno fuori i “colonnelli” di Anastasia, fino ad arrivare a lui. E’ la più classica delle scene dei mafia movie, un boss rilassato dal barbiere e i killer che arrivano e fanno fuoco lasciandolo senza vita in una pozza di sangue. Genovese vince il duro confronto, Costello riesce a rimanere in vita fino ad 82 anni quando, da boss ormai in “pensione”, muore non per mano di un sicario ma per volontà divina. Ancora una volta, è riuscito a beffare i nemici. (f.benincasa@corrierecal.it)
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