LAMEZIA TERME Ricordo che mi fu presentato «Mimmo Bonavota da Carlo Pezzo senza preannuncio, ma lo presentò come suo parente che voleva fare traffici con me» e «parlammo delle attività di narcotraffico che io conducevo dalla Spagna. Loro avevano già strade aperte su Mantova, Catania tramite Davide di Milano e Bolzano» così «iniziammo a lavorare sul traffico attuato con le auto: io gli vendevo lo stupefacente, inteso hashish e cocaina, ad un certo prezzo, e loro poi ricaricavano sul margine di guadagno vendendolo alle piazze e pagando alla consegna». È l’ex broker del narcotraffico al servizio della ‘ndrangheta, Vincenzo Pasquino, a parlare davanti ai pm di Torino. La sua collaborazione con la giustizia apre, infatti, più di uno squarcio sui traffici messi in piedi da diversi gruppi criminali legati alla ‘ndrangheta.
A proposito del narcotraffico messo in piedi con i Bonavota, Pasquino racconta che «questa cosa è andata avanti per molto tempo, dal 2014, e lavoravamo bene. Mimmo Bonavota però non toccava niente di droga, abbiamo sempre solo parlato per trattare». E ancora: «Carlo Pezzo insisteva che io sviluppassi anche con loro il legame particolare che avevo con gli Agresta e gli Alvaro. I soldi li metteva la famiglia Bonavota per lo stupefacente». Lo smercio della droga in Sicilia e, in particolare, nella piazza di Catania «entra in gioco nel 2016, perché io avevo fumo che a Torino non si vendeva bene», racconta Pasquino. «Antonio, il nipote di Bonavota e Carlo Pezzo mi dissero di dare il fumo a loro che ci avrebbero pensato tramite questo Davide lacone che aveva contatti a Librino e a San Cristoforo». Poi «Mimmo Bonavota non l’ho più visto perché sono andato in Brasile. Le volte in cui l’ho visto erano tra il 2014 ed il 2017 che poi sono partito». Secondo il racconto dell’ex narcobroker dopo l’arresto di Bonavota, comunque, il lavoro andava avanti e in modo proficuo, tenendo conto però di una “emergenza” in più ovvero il mantenimento in carcere e «le spese per l’avvocato e la famiglia, pertanto se prima si stabiliva solo “il punto”, ora bisognava proprio dare “la parte”, essendo “caduto in disgrazia Mimmo”, ovvero essendo detenuto», ha raccontato.
Nel corso del suo racconto ai pm, Vincenzo Pasquino parla anche di una trasferta in Calabria. «Scendo a Sant’Onofrio nel 2017 poiché mi volevano presentare lo zio di Stefanaconi e quello del bar di Sant’Onofrio. Carlo Pezzo mi chiese di scendere poiché voleva propormi di lavorare con loro e Gioia Tauro, cosa che però io non feci, anche se mi sembravano persone molto serie, in quanto avevo già le mie famiglie di riferimento, tra Agresta e Guardavalle, per cui non mi sembrava il caso di infilarmi anche in questo contesto che già avevo abbastanza problemi». E illustra i dettagli dell’incontro: «Siamo stati li ad un ristorante trattoria, lì incontrai questi del bar di Sant’Onofrio e lo zio. Preciso che Sambati mi ha solamente accompagnato a questi incontri e stava lì ma non c’entrava niente». Questo zio, peraltro, era un soggetto di “alto livello” criminale. «Mi fu presentato da Pezzo come un esponente di alto livello, un capo, girava con la coppola e lo riconoscerei. All’epoca aveva una punto azzurra e ha fatto 30 anni di carcere. Dopo mi sono informato da altri e mi fu confermato che era di alto livello», ha spiegato Pasquino. «Gli fu detto che io stavo andando in Brasile e quindi mi dissero, sia gli uni che gli altri, che avrebbero avuto piacere di lavorare con me. Tuttavia, mi mostrai disponibile, ma in realtà i rami con cui lavoravo mi dissero di lasciarli perdere perché avrebbero creato problemi, con specifico riferimento ai Bellocco».
Ma, tornando all’agriturismo, Pasquino ha spiegato ancora: «Quelli dei Bonavota erano 2 o 3, ma non so chi fossero gli altri. Il discorso era sempre quello, erano sul lastrico e volevano lavorare assieme. Poi c’è un altro bar, non so se fa capo alle stesse persone, che si trova quando si esce dal paese. Li siamo andati ed abbiamo incontrato altri parenti di Carlo Pezzo, con i quali abbiamo solo preso il caffè, ma non abbiamo parlato “di lavoro”. Poi dopo siamo andati via e siamo passati da Gioia Tauro». Quella, secondo il pentito, è stata l’unica volta a Sant’Onofrio, «pur essendo il paese di mia mamma io non l’ho mai frequentato. Andavo più al paese di mio padre, a Guardavalle e in estate, ma non andavo mai a Sant’Onofrio in quanto la famiglia di mio padre aveva pure avuto problemi a Vibo e quindi ne avevo timore».(g.curcio@corrierecal.it)
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