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Rapporto Save the children

Maternità, in Italia madri sempre più sole e penalizzate – I DATI

Calabria al 18° posto nell’Indice generale

Pubblicato il: 06/05/2025 – 8:00
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Maternità, in Italia madri sempre più sole e penalizzate – I DATI

ROMA In Italia, il 2024 ha registrato un nuovo record negativo delle nascite con soli 370.000 nuovi nati, una flessione del 2,6% rispetto all’anno precedente.  L’età media delle madri al parto ha raggiunto i 32,6 anni, parallelamente il tasso di fecondità totale ha subito un’ulteriore contrazione, attestandosi a 1,18 figli per donna, inferiore anche al minimo storico dell’1,19 registrato nel 1995. In Calabria il tasso di fecondità è di 1,25 figli per donna. In generale il Sud e le Isole hanno registrato i cali più significativi di nuove nascite, rispettivamente del 4,2% e del 4,9%.  In questo panorama di crisi demografica, le mamme single sono quelle che si trovano spesso ad affrontare ulteriori difficoltà in termini di supporto sociale e stabilità economica.
Questi e molti altri i dati contenuti nel rapporto “Le Equilibriste, la maternità in Italia” di Save the Children – l’Organizzazione che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro – arrivato alla sua 10ma edizione e diffuso oggi a pochi giorni dalla Festa della Mamma, che traccia un bilancio sugli infiniti equilibrismi che le donne in Italia sono costrette a compiere quando scelgono di diventare mamme. 
Come ogni anno, lo studio include anche l’Indice delle Madri, elaborato dall’ISTAT per Save the Children, una classifica delle Regioni italiane dove per le mamme è più facile o difficile vivere. Anche quest’anno, l’Indice riporta la Provincia Autonoma di Bolzano in cima ai territori amici delle madri, seguita da Emilia-Romagna e Toscana, mentre fanalino di coda, come nella scorsa edizione, risulta la Basilicata, preceduta in fondo alla classifica da Campania, Puglia e Calabria.

L’Italia al 96° posto su 146 Paesi nel mondo

L’Italia occupa il 96° posto su 146 Paesi nel mondo in relazione alla partecipazione femminile al mondo del lavoro, mentre rispetto al gender gap retributivo si trova alla 95esima posizione. Inoltre, più di una donna su quattro (26,6%) nel nostro Paese è a rischio di lavoro a basso reddito, mentre la stessa condizione interessa un uomo su sei (il 16,8%). I dati sul divario salariale a sfavore delle donne preludono a una penalità ancora più netta quando queste decidono di mettere al mondo un figlio: la child penalty. Il 77,8% degli uomini senza figli è occupato, ma la percentuale sale al 91,5% tra i padri (92,1% per chi ha un figlio minore e 91,8% per chi ne ha due o più), mentre per le donne la situazione è molto diversa: lavora il 68,9% tra quelle senza figli, ma la quota scende al 62,3% tra le madri (65,6% per chi ha un figlio minore e 60,1% con due o più).  ll 20% delle donne, infatti, smette di lavorare dopo essere diventata madre, spesso a causa dell’assenza di servizi per la prima infanzia e della mancanza di condivisione dei compiti di cura all’interno delle famiglie, che rendono inconciliabile la dimensione lavorativa e quella familiare. Secondo alcune stime preliminari, inoltre, questa percentuale salirebbe di ulteriori 15 punti, raggiungendo il 35%, tra le madri di figli con disabilità.
I dati del Rapporto, elaborato dal Polo Ricerche di Save the Children[9], oltre allo squilibrio di genere evidenziano forti disparità territoriali e sociali. Al Nord, il tasso di occupazione maschile è dell’87% per gli uomini senza figli e 96,3% per quelli con almeno un figlio minore, mentre per le donne si attesta all’80,2% per le donne senza figli, e al 74,2% per quelle con almeno un figlio minore. Anche nelle regioni del Centro emerge uno svantaggio femminile con una differenza di circa 5 punti percentuali nei tassi di occupazione tra le donne senza figli (74,3%) e quelle con figli minori (69,2%). Nel Mezzogiorno, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è molto più bassa e presenta comunque una differenza tra le donne senza figli (49,4%) e quelle con almeno un figlio minore (44,3%), in linea con quelle del Centro e del Nord. Anche i dati sulle dimissioni volontarie relativi ai genitori con figli 0-3 anni restituiscono un’istantanea sulla disparità di genere nel mondo del lavoro: a dimettersi, infatti, sono principalmente le madri, al primo figlio ed entro il suo primo anno di vita. Il 72,8% di tutte le 61.391 convalide da parte di neogenitori di bambini tra 0 e 3 anni è riferito a donne e nel 96,8% dei casi si tratta di dimissioni volontarie. Le motivazioni più frequentemente indicate riguardano la difficoltà di conciliazione della vita familiare con quella lavorativa per ragioni legate ai servizi, all’organizzazione del lavoro o a scelte del datore di lavoro. Il Rapporto Le Equilibriste contiene quest’anno una stima a cura del Think- Tank Tortuga su quanto una riduzione dei costi dell’assistenza a carico delle famiglie attraverso gli investimenti in asili nido potrebbe ridurre la child penalty in modo sostanziale, promuovendo una maggiore equità di genere nel mercato del lavoro italiano. In Italia, la genitorialità è responsabile del 60% della differenza nel tasso di occupazione tra uomini e donne, con le madri che spesso ricoprono ruoli di cura all’interno della famiglia a scapito della carriera. In Italia, dopo la nascita di un figlio, la child penalty iniziale è pari al 33%. Con una riduzione dei costi a carico delle famiglie per i servizi per l’infanzia del 30% si registra una child penalty tra il 28,5% (stima conservativa) e il 27,6% (stima ottimista). Nello scenario più ambizioso (-90% dal costo attuale), si ridurrebbe fino al 19,5-16,8%.

Le mamme single, equilibriste tra le equilibriste

Se l’Italia già si dimostra un Paese poco accogliente per le madri, sono le madri single, equilibriste tra le equilibriste, a d incontrare ancora più difficoltà. Negli anni, i nuclei monogenitoriali famiglie composte da un solo genitore con figli – sono passati da circa 2 milioni 650mila nel 2011 a oltre 3 milioni 800mila nel 2021, segnando un incremento del 44%. Una tendenza opposta rispetto alle coppie con figli che, al contrario, sono calate nel tempo. Il 77,6% delle famiglie monogenitoriali è costituita da madri sole con i propri figli. Si stima, inoltre, che le madri sole saranno 2,3 milioni nel 2043. Le madri sole con figli sono attualmente una delle tipologie familiari più esposte al rischio di povertà. Secondo gli ultimi dati Istat se complessivamente nel 2024 il 23,1% della popolazione italiana è a rischio povertà o esclusione sociale, la percentuale sale al 32,1% tra i nuclei monogenitoriali, quasi tre punti percentuali in più rispetto all’anno precedente e 11 punti percentuali in più delle coppie con figli (21,2%). Dai dati sull’occupazione, emerge una netta frattura tra Nord e Mezzogiorno[18]. Nel 2024, il tasso di occupazione delle mamme single tra i 25 e i 54 anni supera l’83% nel Nord, sia per le madri con almeno un figlio minore che per il totale delle madri sole, mentre nel Mezzogiorno non va oltre il 45,2 %. Nel Centro si registra una crescita più contenuta, ma comunque positiva. La fragilità della condizione delle mamme sole è evidente anche dai dati che riguardano i redditi netti. Le madri single con figli minori, infatti, hanno un reddito medio netto pari a 26.822 euro annui, contro i 35.383 dei papà nella stessa situazione.

L’Indice delle Madri, regione per regione

Anche quest’anno il Rapporto “Le Equilibriste, la maternità in Italia 2025” presenta un Indice delle madri per regione, risultato di un’analisi basata su 7 dimensioni: Demografia, Lavoro, Rappresentanza, Salute, Servizi, Soddisfazione soggettiva e Violenza, per un totale di 14 indicatori da diverse fonti del sistema statistico nazionale. L’indice è il frutto di una lunga e proficua collaborazione scientifica con l’Istituto Nazionale di Statistica (Istat). Il valore di riferimento dell’Indice delle Madri è pari a 100 e rappresenta il valore dell’indice per l’Italia nel 2022. Rispetto ad esso, i valori superiori rappresentano un territorio più favorevole per le mamme; al contrario, i valori inferiori mostrano un territorio meno “friendly” nei loro confronti. Come nella scorsa edizione, anche quest’anno tra le regioni più “amiche delle mamme”, si confermano ai primi posti dell’Indice generale la Provincia Autonoma di Bolzano (117,877), l’Emilia-Romagna (110,981), e al terzo posto la Toscana (108,822) . Una menzione particolare in questa edizione va fatta per l’Umbria (108,569), che occupava la nona posizione nella scorsa edizione e che quest’anno si attesta al 4° posto, anche grazie alle prime posizioni conquistate nelle dimensioni della Soddisfazione personale, della rappresentanza femminile negli organi politici e nella dimensione Salute e Violenza. Degno di nota è anche il marcato peggioramento della Valle d’Aosta (94,970), che scende dal quinto posto della scorsa edizione al sedicesimo nell’attuale Indice, registrando una delle flessioni più significative, principalmente a causa del peggioramento nella dimensione Salute per il quoziente di mortalità infantile (che può variare molto in una Regione molto piccola anche in relazione al basso numero di nascite, meno di 800 l’anno). Sebbene rispetto all’anno precedente, la situazione italiana sia migliorata sia in termini assoluti, con un incremento dell’AMPI nazionale dal 2022 di 100,000 a 102,635 nel 2024, sia in termini di riduzione del divario territoriale, le regioni del Mezzogiorno, continuano a posizionarsi tutte al di sotto del valore di riferimento italiano, con alcune particolarmente lontane dalla quota. L’Abruzzo, con un valore pari a 100,349, occupa il 13° posto della graduatoria ed è l’unica regione meridionale che supera la soglia del valore di riferimento nazionale. Calabria (93,139), al 18° posto, perdendo una posizione rispetto all’anno precedente, Puglia (91,584), Campania (91,386) e Basilicata (90,441), fanalino di coda, occupano gli ultimi posti dell’Indice generale senza cambiamenti significativi rispetto alla scorsa edizione. Relegate in fondo all’Indice, queste regioni più di altre scontano i mancati investimenti sul territorio che si traducono in una carenza strutturale di servizi e lavoro.

La dimensione della Demografia

Per quanto riguarda l’area della Demografia, la media Italia del 2024 ha un valore AMPI pari a 98,286, indicando un peggioramento di 1,714 punti rispetto all’anno base 2022. Capofila delle regioni più virtuose è la Provincia Autonoma di Bolzano (126,571), che supera nettamente il valore di riferimento (100) seguita dalle regioni Sicilia (106,00), e pari merito in terza posizione Provincia Autonoma di Trento e Campania (105,143).  La Calabria si attesta al 5° posto (104,286), rispetto al 4° dell’anno precedente, con un tasso di fecondità di 1,25 figli per donna. In questo dominio, tutte le regioni del Centro sono al di sotto di tale media, mentre le regioni del Nord-Est sono tutte al di sopra di tale soglia. Nella parte bassa dell’Indice nell’area Demografia troviamo tutte regioni che registrano tassi molto al di sotto del valore nazionale (100), al 19° posto la Valle d’Aosta (87,143) seguita da Molise (86,286) e Sardegna (75,143) che si posiziona come ultima (75,143).

La dimensione del Lavoro

Nella dimensione Lavoro solo 5 regioni risultano al di sopra della media Italia: Marche (102,752) capofila, Piemonte (101,510), Abruzzo (101,066), Liguria (100,517) e Toscana (100,025). La regione meno virtuosa è la Campania (82,175), preceduta dalla Sicilia (83,036), Provincia Autonoma di Trento (84,741) e Puglia (85,410). La Calabria si conferma al 17° posto (86,457), lavorano solo 4 madri su 10 con figli minori. L’Emilia-Romagna (97,124) rispetto all’anno passato perde una ulteriore posizione passando dal 10° all’11° posto, quando nel 2022 si attestava prima. La Lombardia (99,389) invece, guadagna una posizione conquistando il 6° posto.  

La dimensione della Rappresentanza

Nell’area della Rappresentanza, la Calabria si conferma al 12° posto (94,775). La regione Lazio è prima (134,054), seconda la Provincia Autonoma di Trento (131,892) che fa un balzo di ben 8 posizioni dalla scorsa edizione, seguita dall’Umbria (128,468). Ultima in classifica la Basilicata (68,468) con oltre 30 punti di differenza dal valore di riferimento.  Da sottolineare il Molise (85,586) che scivola di ben 11 posizioni rispetto alla scorsa edizione dove si attestava al 7° posto, posizionandosi in fondo alla classifica come 18°.

La dimensione della Salute

La Valle d’Aosta registra il peggior risultato tra le regioni italiane con un AMPI pari a 62,563, ben 38 punti di differenza con la media nazionale, preceduta dalla Campania(91,154) e dalla Calabria (92,290), passando da fanalino di coda della scorsa edizione al 19° posto, con un quoziente di mortalità infantile molto elevato (3,5 ogni 1000 nati vivi). Anche per questo dominio, la regione più virtuosa è la Provincia Autonoma di Bolzano (128,003). Da sottolineare anche l’avanzamento della Liguria (99,639) dalla 17° alla 12° posizione. Mentre l’Abruzzo perde 6 posizioni e scivola al 14° posto dall’8° della scorsa edizione. Tre Regioni del Mezzogiorno risultano essere più virtuose rispetto alla media italiana: Basilicata (107,038) che guadagna 5 posizioni rispetto alla scorsa edizione, Sardegna e Molise (102,623) che guadagna ben 9 posizioni (rispettivamente al 6°, 8° e 10° posto).

La dimensione dei Servizi


La Provincia Autonome di Trento (132,525) e la Valle D’Aosta (127,986) occupano rispettivamente prima e seconda posizione, seguite da Toscana (122,661) ed Emilia-Romagna (121,919). Tra le 13 Regioni e Province autonome del Centro-Nord, solo l’Umbria (98,958) ha valori al di sotto del valore di riferimento. La Sicilia (77,796), come nella scorsa edizione, è ultima, preceduta da Campania (82,144), Calabria (83,872) – che perde una posizione rispetto alla scorsa edizione (18° posto) attestandosi al 19° posto (83,872) e si conferma ultima regione per offerta di servizi alla prima infanzia finanziati dai Comuni (4,3 posti ogni 100 bambini sotto i 3 anni) – Puglia (84,671) e Molise (86,003), regioni dove l’offerta di servizi è più bassa, mentre Sardegna (107,353) e Basilicata (101,608) hanno valori superiori alla media italiana.

La dimensione della Soddisfazione soggettiva

La regione dove l’area della Soddisfazione Soggettiva raggiunge livelli più alti del valore di riferimento nazionale è la Provincia Autonoma di Bolzano (135,427), mentre la Puglia (88,339) è l’ultima regione in classifica, perdendo tre posizioni rispetto alla scorsa edizione, con un gap di 47,088 rispetto alla prima. In questa dimensione, sono stati molti gli spostamenti nell’Indice. La Calabria perde due posizioni dalla scorsa edizione (17° posto) posizionandosi alla 19° posizione (88,931). La Liguria (103,021) guadagna 6 posizioni passando dal 16° al 10° posto, mentre il Veneto le perde, passando dall’11° al 16° posto. Il Friuli-Venezia Giulia (101,077) perde ben 7 posizioni attestandosi al 13° posto rispetto al 6° della scorsa edizione. L’Umbria (113,211) raggiunge la 4° posizione dalla 10°, mentre l’Abruzzo (108,761) passa dal 12° posto al 7°, con un avanzamento di 5 posizioni.

La Dimensione della Violenza

Nel dominio Violenza dell’Indice, che rileva la dotazione di centri per le donne vittima di violenza, il Friuli-Venezia Giulia (140,353) si conferma, per il terzo anno consecutivo, al primo posto della graduatoria. Da notare la grande distanza tra la Provincia Autonoma di Bolzano, seconda in graduatoria con un valore (130,378) e la Provincia Autonoma di Trento, ultima in graduatoria con un valore (84,282), confermando i risultati degli anni precedenti[30]. La Calabria perde una posizione rispetto alla scorsa edizione (13° posto) attestandosi al 14° posto (106,045). L’Umbria (124,937) sale di ben 10 posizioni conquistando il 6° posto dal 16°, e la Campania di 9, che si attesta al decimo posto rispetto al 19° della passata edizione (110,126).

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