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le dichiarazioni del pentito

L’autorevolezza della ‘ndrangheta in Spagna: Alvaro e Pesce una garanzia

Ai pm di Torino i racconti dell’ex narcotrafficante Vittorio Raso. «Lo Surdo, i Crea e Franco D’Onofrio: più di loro non c’era nessuno»

Pubblicato il: 12/05/2025 – 6:56
di Giorgio Curcio
L’autorevolezza della ‘ndrangheta in Spagna: Alvaro e Pesce una garanzia

LAMEZIA TERME In Spagna «qualche fornitore capiva subito che facevamo parte della ‘ndrangheta, io spendevo la mia appartenenza alla famiglia Alvaro, dicevo anche che avevamo l’uscita al porto della cocaina grazie ai Pesce, grazie a Bartolo Bruzzaniti, cose che dicevo a qualche narcotrafficante per accreditarmi». Vittorio Raso, considerato elemento di spicco della ‘ndrangheta piemontese ed ex “narcotrafficante d’oro” per le cosche calabresi, davanti ai pm della Dda di Torino traccia i confini dell’autorevolezza dei clan, spostandoli fino in Spagna. Proprio lì dove “l’esaurito” (questo il suo soprannome) fu catturato a giugno di 3 anni fa ad un posto di blocco a Castelldefels. Solo due anni prima, a Barcellona, Raso era stato arrestato, salvo poi essere rilasciato su ordine di un giudice.

Spagnoli ma anche albanesi

Spagnoli, ma non solo. Sempre secondo il racconto di Raso, lo stesso accadeva anche con i fornitori albanesi perché «loro quando sapevano che tu eri un calabrese, avevano molto rispetto, perché si sa che i calabresi sono pagatori e non sono truffatori, quindi mi conveniva spendere questa mia veste, ma anche il fatto di essere calabrese già aiutava». In Italia, invece, Raso racconta di non aver mai dovuto «spendere questa mia appartenenza perché era nota, nessuno poteva venire da me e dirmi che non potevo vendere il fumo».


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«Lo Surdo, i Crea e Franco D’Onofrio: più di loro non c’era nessuno»

Nessun problema, quindi, per il mercato di Vittorio Raso il cui nome e la cui appartenenza era ben nota a tutti. A Settimo Torinese, ad esempio, i Magnis o i Carnazza mai avrebbero potuto dire a Raso di non vendere droga, perché «sapevano che io stavo con Alvaro, inoltre sono cugino di Giacomo Lo Surdo, perno della famiglia Crea e compare di Franco D’Onofrio, a Torino più di loro non c’è nessuno». Anzi, come racconta ancora l’ex re del narcotraffico, «non potevo avere problemi con nessuno, anzi: se avessi voluto avrei potuto imporlo io il mercato» racconta ai pm Raso secondo cui «tanti avevano anche paura, molti si sono affiancati a me per paura di qualche estorsione o qualche ritorsione, alla fine io avevo le mie uscite grandi e non avevo bisogno di andare a fare estorsioni o cose del genere ad altri trafficanti, se avessi dovuto farlo avrei potuto farlo».

«Tutti sapevano che un uomo della ‘ndrangheta»

Raso, manifestando una certa superiorità, racconta ancora ai pm che sarebbe potuto «andare da tutti a Torino a dire che da quel momento il fumo lo avrebbero dovuto prendere da me altrimenti non avrebbero più lavorato» ma, spiega ai pm, «non ho mai avuto bisogno di farlo, lo vendevo all’ingrosso e potevo fare prezzi all’ingrosso, anzi erano loro che venivano a cercare me».
L’ex narcotrafficante spiega, inoltre, di non aver mai avuto la necessità di «richiedere l’intervento di Domenico Alvaro» perché «le famiglie principali di Torino erano state lì con noi in carcere, tutti sapevano la forza della famiglia Alvaro, a Torino le famiglie quelle erano. Quelli che acquistavano da me anche fuori, del resto, sapevano che ero un uomo della ‘ndrangheta». (g.curcio@corrierecal.it)

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