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l’ombra del clan

‘Ndrangheta a Lamezia, la “ripartenza” dei Iannazzo dall’autonoleggio

Il capocosca Francesco Iannazzo “U Cafarone” avrebbe gestito in modo occulto una società lametina, impartendo ordini ai nipoti con l’aiuto della moglie

Pubblicato il: 20/05/2025 – 13:16
di Giorgio Curcio
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‘Ndrangheta a Lamezia, la “ripartenza” dei Iannazzo dall’autonoleggio

LAMEZIA TERME Riorganizzare la struttura criminale e riprendere le attività illecite. Un pensiero fisso, l’unico, per chi era riuscito negli anni a scampare alle decine di catture che segnarono un’epoca contro i clan di ‘ndrangheta a Lamezia Terme e, in particolare, contro la cosca Iannazzo-Cannizzaro-Daponte. Un “rinascita” però resa molto più complessa dopo la condanna definitiva del capoclan Francesco Iannazzo e il fermo di Pierdomenico Iannazzo nel blitz “Imponimento” della Distrettuale antimafia di Catanzaro. Oggi, invece, il nuovo colpo inferto alla cosca con l’arresto di 8 persone nel blitz condotto da Polizia e Carabinieri.  

Estorsioni e infiltrazioni nelle società

La cosca, comunque, sarebbe riuscita a trovare una via per rialzarsi grazie a figure importanti, riconosciute dagli inquirenti. Tra cui Giovannina Rizzo (cl. ’55) – moglie di Francesco Iannazzo – e colui che è stato riconosciuto quale «fiduciario del boss», Francesco Amantea (cl. ’56). Secondo gli inquirenti, infatti, entrambi, ciascuno nel suo ruolo, si sarebbero impegnati a «fronteggiare la momentanea carenza di risorse economiche e la correlata necessità di fondi per sostenere spese legali e sostentamento dei carcerati». Come fare? Raccogliendo il denaro da soggetti estorti o conniventi. Oppure, nella migliore delle ipotesi, portando avanti attività economiche intestate a terzi.

L’autonoleggio a Sant’Eufemia

Fari puntati dalla Dda di Catanzaro, in particolare, su una società la “R & P s.r.I.s., ora “UNIREI” s.r.l., creata nel 2017 come impresa di vendita di merce all’ingrosso, per poi convertirsi in impresa di autonoleggio. Nel 2019 Giuseppe Ruffo – ora ai domiciliari – divenne socio unico. Poi, nell’aprile del 2022, dopo l’aumento di capitale, la società cambiò ragione sociale in “Unirei s.r.l.”. Ecco, secondo l’accusa, Francesco Iannazzo, nonostante non avesse partecipazioni o cariche formali, avrebbe «coordinato la gestione della società di autonoleggio di autovetture», interessandosi dell’arrivo delle autovetture da noleggiare o da vendere, occupandosi della contabilità e del recupero di denaro. I titolari effettivi, Ruffo e la compagna, rendicontavano proprio a Francesco Iannazzo e, dopo il suo arresto, a Pierdomenico Iannazzo, sottoposto agli arresti domiciliari, e «remuneravano la famiglia con parte dei dividendi dell’impresa».

La gestione “occulta” di “U Cafarone”

Dalle indagini, dunque, è emersa la gestione occulta dell’attività. Anche in prossimità del suo arresto, ad esempio, la nipote gli chiedeva come «avrebbe dovuto continuare a condurre il salone auto, se con le ordinarie modalità» e come avrebbe dovuto eseguire la consegna del denaro. «Fai normale, come sempre». L’opera di Francesco Iannazzo di co-gestione occulta dell’impresa sarebbe andata avanti anche dopo la sua carcerazione. C’era un affare in ballo con un altro soggetto lametino e i due nipoti domandavano a Giovannina Rizzo – divenuta punto di riferimento per il gruppo dopo l’arresto del marito – se avesse informato il coniuge dell’evoluzione dell’affare. «Vendila, ti ha lasciato campo libero», si sarebbero poi sentiti rispondere. Altra circostanza significativa secondo gli inquirenti delle dinamiche tra la società e la famiglia Iannazzo, era l’occasione di acquistare alcune auto a km 0. Ruffo, in questo caso, avrebbe chiesto a Giovannina Rizzo se fosse «necessario il parere di Francesco Iannazzo», con la donna che avrebbe ribadito la totale fiducia nell’operato di Ruffo. Anche perché comunicare con il capocosca in carcere sarebbe stato pericoloso perché controllati. (g.curcio@corrierecal.it)

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