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‘Ndrangheta, la tradizione Agresta e l’eterno legame con Platì

L’inchiesta “Millennium” della Dda ha riaperto il libro di storia di un locale attivo in Piemonte da decenni. Fondamentali le dichiarazioni di Domenico “Micu Mc Donald” Agresta

Pubblicato il: 26/05/2025 – 11:54
di Giorgio Curcio
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‘Ndrangheta, la tradizione Agresta e l’eterno legame con Platì

TORINO Un solido e sostanziale collegamento tra le articolazioni di ‘ndrangheta attive a Volpiano e Buccinasco, province rispettivamente di Torino e Milano. Certo, i dettagli emersi dalla recente inchiesta “Millennium” – con l’arresto di 97 soggetti – non sono una novità da queste parti dove la ‘ndrangheta, collegata fortemente a Platì, è ben presente da decenni. Circostanza già cristallizzata peraltro attraverso una serie di operazioni anti-ndrangheta e decine di arresti, specialmente negli ultimi anni.

Agresta e Assisi

Tra queste, l’operazione “Cerbero” eseguita dalla Distrettuale antimafia di Torino che aveva colpito duramente le famiglie Agresta e Assisi, riconosciute attive nel narcotraffico tra l’Italia e il Sud America, e considerate a capo dei locali di ‘ndrangheta di Volpiano e San Giusto Canavese, nel torinese. Già all’epoca, parliamo del 2016, furono chiamati in causa personaggi quali Antonio, Domenico e Francesco Barbaro, figli di Giuseppe alias “u castanu”. Ma è con l’inchiesta “Minotauro” che era stata accertata l’esistenza, a Volpiano, dì un locale di ’ndrangheta, composto in prevalenza da membri delle famiglie Marando-Agresta, originarie del comune di Piatì.

Domenico Agresta “Micu Mc Donald”

I racconti di “Micu Mc Donald”

A fornire però un contributo significativo agli inquirenti, sia della Dda di Torino che quella di Reggio Calabria, è stato il collaboratore di giustizia Domenico Agresta “Micu Mc Donald”, esponente della omonima famiglia di ‘ndrangheta di Platì ed elemento di vertice del locale di Volpiano, condannato con sentenza passata in giudicato per i reati di associazione maliosa e omicidio. Trasferitosi proprio a Volpiano nel 1988, vent’anni più tardi verrà arrestato per l’omicidio di Giovanni Trapasso, uomo della sua stessa cosca, avvenuto nella notte tra il 15 e il 16 ottobre del 2008 a Borgiallo, nel Torinese, per mano dello stesso collaboratore. Le sue dichiarazioni, considerate attendibili dagli inquirenti, hanno fornito un contributo decisivo nel processo “Mandamento Jonico” ma, soprattutto, hanno consentito di ricostruire dinamiche storiche e aspetti cruciali legati proprio alla presenza della ‘ndrangheta nel Torinese, legata a quella di Platì, da decenni.

Le origini di Volpiano

Il nonno, Domenico Agresta, era stato il padre fondatore del locale di Volpiano diventandone poi il “capo locale” insieme allo zio Michele Perre per poi essere, almeno per un certo periodo, il “responsabile” della ‘ndrangheta in Piemonte. C’è poi lo zio, Antonio Agresta (cl. ’60), già condannato in “Minotauro”, così come gli altri due zii, Natale e Francesco Agresta, condannato solo in materia di stupefacenti, sebbene entrambi siano considerati appartenenti al locale di ‘ndrangheta di Volpiano da molto tempo.
La storia di Domenico Agresta è particolare: grazie all’intuizione e al contributo economico dello zio, Pasquale Marando, ha avuto anche l’opportunità di frequentare una delle più rinomate scuole private e terminare, così, il primo ciclo di studi presso il Collegio San Francesco. Poi, però, il collaboratore fu progressivamente coinvolto negli “affari di famiglia”, soprattutto nel traffico di sostanze stupefacenti, dal cugino Domenico, figlio di Natale Agresta, fratello del nonno paterno Domenico.

platì romeo gallo

L’eterno legame con Platì

Come emerso dalle inchieste passate e filtrate attraverso le dichiarazioni dello stesso collaboratore, nonostante “Micu Mc Donald” avesse vissuto sin da bambino al Nord non trascurò mai di coltivare i propri rapporti con la Calabria e, in particolar modo, con Platì. Qui, infatti, aveva ancora molti parenti in vita sia dal lato paterno che materno, ed era qui che “scendeva” durante le festività estive e natalizie e per gli avvenimenti di più svariata natura, quali battesimi, matrimoni o funerali. Era proprio nei periodi di permanenza in Calabria, insieme alla famiglia, che molti soggetti di Piatì, in segno di rispetto, si premuravano di consegnargli doni e contributi in denaro per il mantenimento del padre in carcere in modo da fargli sapere «chi è che lo pensava». (g.curcio@corrierecal.it)

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