TORINO Un contesto economico vivace con un Pil in crescita dello 0,4% nei primi sei mesi rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ma anche una congiuntura economica regionale che ha risentito di vari fattori, a cominciare dal calo della domanda estera e la debolezza del settore manifatturiero, in particolare nell’automotive. È in questo contesto, quello del Piemonte, che le cosche di ‘ndrangheta continuano a proliferare, proprio come accade dai lontani anni ’50 del secolo scorso, dando a quello piemontese una connotazione ‘ndranghetista risalente al periodo dei fenomeni migratori interni.
I dati dell’ultima relazione delle Dia – la Direzione investigativa antimafia – di fatto cristallizzano un quadro che, negli ultimi decenni, non ha subito grossi mutamenti, nonostante i durissimi colpi inferti dalle forze dell’ordine e dalle inchieste. La ‘ndrangheta da queste parti è – sempre secondo i dati della Dia – la matrice mafiosa che ha fatto registrare nel tempo uno sviluppo più funzionale e complesso delle proprie strutture criminali. Tra i fattori “vincenti”, i rigorosi criteri di ripartizione dei settori e delle zone di influenza. Come è emerso dagli ultimi dati, infatti, le prime cellule di ‘ndrangheta si sono evolute formando i tipici locali, come già emerso nelle importanti inchieste degli ultimi due decenni, confermando la «riproduzione di strutturati e distinti organismi mafiosi calabresi» in costante contatto con la casa madre reggina, a conferma del carattere unitario della ‘ndrangheta.
Secondo quanto emerso dagli ultimi due semestri del 2024, dunque, in Piemonte le mafie, e in particolare le cosche calabresi, hanno sempre cercato di instaurare rapporti di commistione con i rappresentanti delle Istituzioni locali, delle professioni e dell’imprenditoria, creando quell’area grigia in cui «l’esercizio del potere e il governo delle risorse del territorio è funzionale ad una logica di accrescimento non solo del capitale economico ma anche e soprattutto di quello “sociale”», annota la Dia nella relazione. Un fenomeno documentato nell’ultimo periodo proprio dalla Dia e dalle altre forze di polizia, con particolare riferimento ai settori economici in cui sono più ampie le opportunità di profitto.
A proposito di territori, le recenti indagini avrebbero svelato gli interessi preminenti nel settore turistico-alberghiero, della ristorazione, della gestione di servizi pubblici e di immobili da parte dei sodali del locale di Volpiano ritenuti, tra l’altro, responsabili di reimpiego di capitali illeciti anche tramite prestanome, osserva la Dia. Le ultime e rilevanti inchieste, inoltre, hanno fatto luce sull’infiltrazione di sodalizi riconducibili a cosche reggine anche nel settore dell’edilizia e dei trasporti, sfociata nell’aggiudicazione indebita di appalti per lavori di manutenzione di strade ed autostrade. Sono emersi, poi, gli interessi dei sodali in questo caso del locale di Asti nel settore delle demolizioni, del commercio di giornali e riviste e generi di monopolio e del commercio all’ingrosso di metalli non ferrosi. In provincia di Novara, soggetti ritenuti “vicini” a consorterie mafiose originarie della Locride hanno manifestato i propri interessi nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti petroliferi e lubrificanti per autotrazione e di combustibili per riscaldamento.
Occhi puntanti sull’ampio territorio e dell’area metropolitana di Torino e della sua provincia, dove il contesto delinquenziale non può prescindere dal ruolo egemone interpretato dalle cosche di ‘ndrangheta. E la Dia nell’ultima relazione del 2024 disegna la mappa criminale, censita attraverso le attività investigative e le evidenze giudiziarie degli ultimi anni. A partire dal locale di Natile di Careri a Torino, istituito dai Cua-Ietto-Pipicella di Natile di Careri (RC) unitamente a esponenti delle ‘ndrine Cataldo di Locri (RC), Pelle di San Luca (RC) e Carrozza di Roccella Ionica (RC); il locale di Cuorgnè, emanazione dei locali reggini di Grotteria (specificamente della famiglia Bruzzese), di Mammola (i Callà), di Gioiosa Jonica (con parti colare riferimento al gruppo Ursino-Scali) e di Condofuri (Casile-Rodà); il locale di Volpiano, originato dai Barbaro di Platì (RC) e da alcuni affiliati al cartello Trimboli-Marando-Agresta di Platì (RC); il locale di Rivoli, espressione della ‘ndrina Romeo di San Luca (RC); il locale di San Giusto Canavese, fondato dagli Spagnolo-Varacalli di Ciminà (RC) e Cirella di Platì (RC), con la partecipazione di elementi delle cosche Ursino-Scali di Gioiosa Ionica (RC) e Raso-Albanese di San Giorgio Morgeto (RC); il locale di Siderno a Torino, costituito dai Commisso di Siderno (RC) e da alcuni elementi dei Cordì di Locri (RC); il locale di Chivasso, articolazione dei Gioffrè-Santaiti e dai Serraino di Reggio Calabria e Cardeto (RC), dai Pesce Bellocco di Rosarno (RC) e dai Tassone di Cassari di Nordipace (VV); il locale di Moncalieri istituito dagli Ursino di Gioiosa Ionica (RC) unitamente ad alcuni affiliati agli Ursino-Scali di Gioiosa Ionica (RC) e agli Aquino-Coluccio di Marina di Gioiosa Ionica (RC); il locale di Giaveno espressione dei Bellocco-Pisano del locale di Rosarno (RC) e di esponenti della famiglia palermitana Magnis; il locale di San Mauro Torinese al vertice dei quali vi sarebbe la ‘ndrina Crea, riconducibile al sodalizio Crea Simonetti originario di Stilo (RC); l’articolazione operante nel territorio di Carmagnola e zone limitrofe, riconducibile alle famiglie Arone, Defina e Serratore, collegata alla cosca Bonavota di Vibo Valentia; la ‘ndrina di San Mauro Marchesato (KR) distaccata a Torino, espressione della cosca Greco, direttamente riconducibile ai Grande Aracri del locale di Cutro (KR); il locale di Ivrea, da ultimo emerso nell’ambito dell’inchiesta “Cagliostro” e riconducibile alla ‘ndrina Alvaro di Sinopoli (RC). (g.curcio@corrierecal.it)
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