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La piaga dell’astensionismo

Il 2 giugno 1946, quando il voto era una questione nazionale

Votarono 9 italiani su 10. Poi, a parte qualche eccezione, l’affluenza alle urne è crollata tra disincanto e scarsa partecipazione

Pubblicato il: 02/06/2025 – 7:09
di Antonino Casadonte
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Il 2 giugno 1946, quando il voto era una questione nazionale

ROMA Partiamo da una piccola premessa: parliamo di contesti storici, socio-culturali e politici totalmente differenti, di un numero di popolazione per forza di cose cambiato nel tempo e di consultazioni diverse nella forma e nella sostanza (dalla scelta tra repubblica e monarchia ai referendum abrogativi, fino alle elezioni comunali, regionali, nazionali ed europee). Vi è un aspetto di fondo, però, reso incontrovertibile dai dati relativi all’evoluzione – o meglio all’involuzione – dell’affluenza alle urne nel corso dei decenni. A parte qualche sporadica eccezione, infatti, dal referendum del 2 giugno 1946, prima votazione nella storia italiana a suffragio universale, il trend riguardante le persone votanti è stato sempre in negativo. E la conferma c’è stata pochi giorni fa: alle comunali, in media, ha votato solo il 56,32 % degli aventi diritto. Diritto, perché il voto è questo, la possibilità di scegliere democraticamente e determinare il proprio futuro. Dovrebbe essere anche un dovere, ma come vedremo, soprattutto negli ultimi anni, non sempre è stato così. Il prossimo 8 e 9 giugno si voterà di nuovo, stavolta per abrogare leggi in materia di lavoro e immigrazione e c’è il forte rischio che non si raggiunga il quorum, ossia il 50%+1. Nel ’46 per scegliere la forma di governo ed eleggere i membri della futura Assemblea Costituente votò l’89, 08% degli aventi diritto (circa 28 milioni di persone).

L’andamento dell’affluenza alle urne

Come detto, il 2 giugno 1946 si espressero quasi nove italiani su dieci, l’89%, mentre pochi giorni fa, l’affluenza alle urne per le comunali (in media) si è attestata sotto quella quota di oltre 30 punti percentuali. Dando uno sguardo più ampio: alle ultime elezioni politiche, quelle del 25 settembre 2022, ha votato il 64% degli elettori: la percentuale più bassa registrata nella storia repubblicana e anche la più bassa di sempre alle elezioni politiche dei quattro grandi Paesi dell’Unione europea, ovvero Italia, Francia, Spagna, e Germania. Quella fu anche la prima volta in cui si era recato al voto meno del 70% degli elettori, dopo che il 2013 era stato il primo anno con un’affluenza inferiore all’80% e il 1983 il primo anno con un’affluenza sotto il 90%. In generale, a ogni elezione politica l’affluenza è calata, tranne in due occasioni: tra il 1948 e il 1953 (dal 92 al 93%) e tra il 2001 e il 2006 (dall’81 all’83%). Allargando ulteriormente l’orizzonte verso le elezioni europee, dove gli elettori sono chiamati a scegliere i nuovi membri del Parlamento, va ancora peggio: storicamente sono caratterizzate da un’affluenza più bassa rispetto alle politiche. Alle ultime elezioni del 2024, ha votato solo il 49,69%, quasi sei punti in meno rispetto al 55% del 2019 e addirittura quasi 40 punti percentuali in meno rispetto alle prime consultazioni del 1979, quando si recò alle urne l’86% degli elettori. Passiamo al capitolo elezioni regionali: nel 1970, anno in cui furono istituite le 15 regioni a statuto ordinario, l’affluenza è stata pari al 92,5%; cinque anni dopo addirittura al 92,7%. Poi un continuo calo, fino ai risultati impietosi raggiunti da due regioni politicamente ed economicamente chiave per il nostro Paese, ovvero Lazio e Lombardia. Nella prima, nel 2023, votò solamente il 37% degli aventi diritto, una cifra impressionante che segnò il primato negativo italiano. Solo 5 punti percentuali in più, invece, in Lombardia.

Referendum dell’8 e 9 giugno: gli ultimi dati sono scoraggianti

Di recente, il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha detto che il referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno sarà come «una battaglia per ridare diritti a giovani, donne, migranti, lavoratori poveri che vivono in una precarietà permanente, un voto per cambiare leggi balorde».
Indipendentemente da come la si pensi, però, c’è il forte rischio che tutto rimanga invariato, anche in caso di vittoria del sì. Questo perché si dovrà raggiungere il quorum affinché la consultazione sia valida. E considerando i dati storici, soprattutto i più recenti, il 50%+1 appare un vero miraggio. Se si fosse votato tra il 1974 e il 1995, ci sarebbe stata più speranza, visto che il quorum non fu raggiunto solo nel ’90. Poi, negli ultimi 30 anni, la situazione si è ribaltata: 50+1 ottenuto solo in una occasione. Poco da aggiungere, per cambiare eventualmente qualcosa servirà un miracolo, con buona pace del segretario Landini.

Le ragioni dietro l’astensionismo di massa

Quali sono le ragioni del netto calo dell’affluenza e della crescita vertiginosa dell’astensionismo? Innanzitutto, come nel caso del referendum dell’8 e 9 giugno, il disinteresse per le materie trattate ma anche la scarsa informazione dettata dalla non adeguata copertura dei media. In questo caso, giova ricordare il richiamo del Consiglio dell’Agcom ed il provvedimento di richiamo alla Rai e a tutti i fornitori di servizi di media audiovisivi e radiofonici operanti in ambito nazionale.
Per quanto concerne invece le elezioni politiche, le europee e le regionali appare evidente il disincanto palesato dai giovani elettori. Non è un caso, forse, che l’astensionismo sia cominciato a crescere dopo Tangentopoli, nei primi anni ’90, un evento che spazzò il cosiddetto “Pentapartito” (5 partiti che dominavano la scena a quel tempo) aprendo alla discesa in campo di Silvio Berlusconi. Una volta archiviato il referendum, bisognerà ragionare su cosa occorrerà fare per ridurre l’astensionismo e favorire la partecipazione elettorale. (redazione@corrierecal.it)

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