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il potere della cosca

La “giustizia” di Ciccio Iannazzo: i rom puniti per un camion rubato

L’interrogatorio, le minacce e la buca già pronta. Il racconto, intercettato, di un imprenditore. «È tremendo, solo a guardarlo ti spaventi»

Pubblicato il: 04/06/2025 – 11:19
di Giorgio Curcio
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La “giustizia” di Ciccio Iannazzo: i rom puniti per un camion rubato

LAMEZIA TERME Un autocarro rubato insieme ad alcuni attrezzi da lavoro. Un furto commesso da soggetti di etnia rom. L’episodio non fu mai denunciato alle forze dell’ordine perché ad occuparsene sarebbe stato Francesco Iannazzo, boss dell’omonima cosca di Lamezia Terme, classe 1955, coinvolto nell’ultima inchiesta della Dda di Catanzaro. L’episodio risale a qualche anno fa e se ne trova traccia nel racconto di chi, quel furto, lo ha subìto e “denunciato” allo zio Ciccio, amico da sempre ed evidentemente ritenuto più efficace di poliziotti e carabinieri. Sempre dal racconto di questo imprenditore pare che l’episodio avrebbe potuto aver risvolti ben più gravi.

L’individuazione dei rom

Come raccontato in una conversazione intercettata dagli inquirenti, i soggetti della comunità rom sarebbero stati individuati da Francesco Iannazzo e il figlio, Pierdomenico. I presunti responsabili avrebbero subito delle ritorsioni molto gravi per le loro condotte: un interrogatorio illegale e minacce con un’arma, oltre a scavare una buca in cui interrarli. Insomma, una punizione “sommaria” utile a certificare quella che era l’autorevolezza del capocosca sul territorio che – in teoria – avrebbe dovuto controllare.  



La buca già pronta, il furto confessato

Nella conversazione tra l’imprenditore e due soggetti che gli inquirenti non sono riusciti ad identificare, si parla ad esempio di «uno che si chiamava Cosimo» e «di una grande buca lì, scavata». Poi l’interrogatorio con domande del tipo «nella zona di Campora chi c’è stato ieri sera?», un modo evidentemente per circoscrivere il furto. L’imprenditore poi racconta di uno sparo improvviso e di uno dei soggetti “interrogato” da Ciccio Iannazzo «caduto di sotto», in una buca di quasi tre metri di profondità. Il racconto prosegue con altri dettagli inquietanti. Ad un certo punto, per far confessare i presunti responsabili, le minacce si sarebbero concentrate sul figlio di uno di loro e solo al quel punto avrebbero fermato tutto e “confessato” il furto. «(…) io sono andato a controllare e quelli tremavano… c’era pure la sponda del camion che si avevano preso, ci avevano preso il motopico per muratore…».

«Zio Ciccio è tremendo, solo a guardarlo ti spaventi»

Una tensione altissima al punto che, sempre secondo l’imprenditore, avrebbe evitato di reclamare una pompetta per tirare il gasolio, «(…) adesso se glielo dico questo lo ammazzano del tutto, quelli poveretti mi baciavano la mano dopo!». Poi sarebbero andati a riprendersi il camion, rifiutando anche “offerte aggiuntive” avanzate dai rom in segno di gratitudine dopo la grande paura provata. Poi la chiosa che racchiude il senso dell’episodio: «Ma zio Ciccio è tremendo, solo a guardarlo ti spaventi».



Il furto mai denunciato e il “potere” della cosca Iannazzo

Il furto dell’autocarro e degli attrezzi è un episodio che non trova riscontro dalle indagini del Nucleo investigativo dei Carabinieri di Lamezia Terme – non è mai stato denunciato – e quindi non vi sono elementi univoci per una datazione certa. Del resto, come ammettono gli inquirenti della Dda di Catanzaro, le modalità stesse del recupero «lasciano presupporre l’assenza di documentazione che certificasse l’evento». Non ci sono dubbi, invece, sull’identificazione dello zio Ciccio. «(…) guarda che questi sono una cosca potente» dirà l’imprenditore mentre parla ancora i due soggetti non identificati. E ancora: «Questo è lo zio Domenico che è morto due settimane fa (…) questo è l’altro nipote, lo chiamavano “U Moretto” …». (g.curcio@corrierecal.it)

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