I femminicidi sono in calo. Nonostante tutto e nonostante le terribili notizie di questi giorni il trend è in diminuzione. Lo è stato il 2024 e si spera possa esserlo il 2025. Tutti vorremmo che si arrivasse allo zero ma se il segno meno continuerà sarà comunque un fatto estremamente positivo.
Interessanti sono le analisi e le narrazioni, alcune del tutto fuori luogo, sul fenomeno.
Intanto la definizione di narcisista per ogni assassino. Che in gran parte è errata. Lo si è visto con Impagnatiello che aveva certo tratti narcisistici (probabilmente li abbiamo tutti) ma sostanzialmente era un bugiardo e delinquente.
Poi, guardando al caso Turetta, l’associazione tra omicidio e ossessività. Turetta pensava costantemente a Giulia Cecchettin ma, come spiegato da grandi autori, la sua idea prevalente non era ossessione. L’ossessività è un altro dato assai comune. Ma, come hanno scritto grandi autori da Salkovkis a Donatella Marazziti, Francesco Mancini (dalla cui scuola fa parte il calabrese Giuseppe Femia), ad Antonio Semerari, il doc (che peraltro non è una condizione connessa a fatti criminali) è caratterizzato dalla colpa e non dal danno.
I femminicidi possono essere prevenuti? In parte si. Le campagne mediatiche hanno contribuito alla loro diminuzione? Forse.
Probabilmente l’idea che l’altro (in questo caso l’altra) rappresenti una sorta di dimensione totalitaria è l’elemento principale di sussistenza.
Considerare un rapporto d’amore con empatia è fondamentale. Ma è un’esperienza che attraversa le nostre antiche voglie di possesso.
Oggi sembra inaccettabile ciò che è sempre stato fondamentalmente sano e cioè soffrire per la perdita di un amore.
Soffrire piangendo, disperandosi ma in una solitudine che fa superare il lutto, è la risposta migliore. E il mal di amore ha dato al mondo il romanticismo, forse la più bella epoca di letteratura.
Chiunque ha subito dolorose separazioni d’amore, reagendo in una intimità fatta di ricordi, rimpianti, anche tentativi di ritorno. E del resto,le più belle canzoni, quasi tutte, di ogni cultura, parlano di amori perduti. Accertare questa sofferenza è il modo migliore per rinascere. Rispettando se stessi e l’altro.
Su questa traccia è possibile che nel tempo i femminicidi scompaiano. Attribuirli al patriarcato è un errore. Sia perché il patriarcato non contemplava l’uccisione della donna, sia perché ( soprattutto al Sud) si trasformava in un matriarcato in cui la donna era considerata indispensabile per la sopravvivenza. Una correlazione etologica che Lorenz fa citando proprio colui che impropriamente viene considerato il “Re” della specie animale, il leone. Che è un patriarca di fatto, giacche lascia alla femmina l’onere e la fatica della caccia riservandosi il privilegio del primo boccone. Certo anche nel patriarcato c’era una oggettualizzazione della donna ma perlopiù legata all’onore, come descritto da Verga. Altri tempi. Oggi è fondamentale piuttosto rinunciare al possesso. E relazionarsi in una dimensione realmente empatica.
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