Ci sono allenatori che passano, e altri che restano. Piero Braglia, toscanaccio di Grosseto, appartiene alla seconda categoria. Lo riconosci subito: il tono ruvido, lo sguardo severo, le parole taglienti come una rasoiata. Ma dietro quell’aria da orso c’è un uomo che ha fatto la storia, specialmente in quella terra di mezzo che è la serie C, dove si soffre, si lotta, e – a volte – si sogna.
Braglia l’ha fatto anche in Calabria, con Catanzaro prima e Cosenza poi, regalando a entrambe qualcosa che non si dimentica: la serie B.
Per i Lupi silani fu un trionfo atteso 15 anni, conquistato a suon di battaglie e con una squadra plasmata a sua immagine e somiglianza dopo averla presa all’ultimo posto in classifica. Era la stagione 2017-2018, ed era un Cosenza che mordeva. Oggi, invece, in riva al Crati si piange una retrocessione che fa male e riapre vecchie ferite.
E allora, proprio ora che il dolore è più vivo, abbiamo scelto di tornare da lui. Da chi quella maglia l’ha riportata in alto, da chi conosce il calcio e le piazze rossoblù e giallorosse meglio di tanti altri.
«Onestamente mi è dispiaciuto parecchio. Mi ha fatto male vedere la fatica con cui ha gestito la stagione, al di là della penalizzazione, al di là di tutto. Anche se qualcuno può aver sbagliato, quattro punti li puoi recuperare in un anno. Hai tante partite per mettere a posto le cose. Inutile alla fine andare ad aggrapparsi ad altre questioni fuori dal campo, lascia il tempo che trova e non serve a nessuno. Ripeto, mi è dispiaciuto tantissimo».
«Bisognerebbe starci dentro per capire cosa è successo. Io sono stato un po’ di anni a Cosenza e non penso che Guarascio abbia sbagliato con l’obiettivo di danneggiare la squadra e, di conseguenza, creare degli imbarazzi verso se stesso. Credo piuttosto che siano emerse una serie di combinazioni sfavorevoli durante la stagione. Posso dire che a me e a Trinchera (ex direttore sportivo rossoblù, ndr), non ha mai creato alcun problema. Si è sempre reso disponibile per quello che poteva fare. Quando non ci tornava qualcosa, prendevamo la macchina tutti e due e andavamo a Lamezia per parlarci. Ma, davvero, non so cosa sia successo quest’anno».
«Ma io sono fatto così, anche se sei il mio presidente e mi paghi, se non mi tornano alcune cose non riesco a stare zitto come fanno alcuni con l’intento di portare a casa lo stipendio. Non esiste, anche perché se le cose non vanno bene, la faccia ce le mette l’allenatore. Con educazione, con rispetto, però è giusto essere onesti, non è che uno deve sempre passare per bischero. Non so se mi spiego bene».
«Però, lo ribadisco, il rapporto con Guarascio è sempre stato schietto. Lui mi diceva quello che pensava, io gli rispondevo, a volte lo chiamavo io per dirgli quello che non andava, e lo stesso faceva Stefano Trinchera. Se Guarascio mi dice una cosa che non mi va e io me la tengo dentro, chi ci rimette? Il Cosenza calcio, naturalmente. Se un allenatore pensa solo a salvaguardare la sua posizione e il suo stipendio, vuol dire che non è legato alla realtà in cui lavora».
«Conosco Alvini, è un bravo allenatore, non so nello specifico cosa sia successo. Io parlo per me. Per esempio, quest’anno a Campobasso già un mese e mezzo prima della fine del girone di andata, chiuso bene a 27 punti, ho spiegato alla società che nel ritorno sarebbe iniziato un altro campionato e si correvano dei rischi. Abbiamo perso due partite su tre e continuavano a dirmi che volevano arrivare quinti. Prendi il Mago Zurlì allora, che vuoi che ti dica? Alla fine, mi hanno mandato a casa. E va bene, ci sta, ma io non posso stare zitto se capisco che c’è qualcosa che non funziona. Altrimenti non si cresce mai insieme».
«In realtà non è stato Guarascio a volermi mandare via. Sono stato io ad andare da Trinchera, dicendogli: “Stefano, abbiamo perso cinque partite di seguito. Sì, la squadra gioca benino, ma continuiamo a perdere e forse i ragazzi hanno bisogno di una scossa. Quindi, se vuoi, mi faccio da parte io, parlane con il presidente”. Poi, chi è subentrato ha salvato il Cosenza. Quando le cose vanno male, si manda via l’allenatore, fa parte del gioco».
«E pensare che anche senza Okereke abbiamo sfiorato i playoff. Però sul calciatore ha deciso la proprietà ed è giusto così. C’era da fare un investimento, la cifra per far restare David in quel momento per il Cosenza calcio era alta. Tu da allenatore provi a convincere la società, ma poi a un certo punto ti devi fermare se non c’è la possibilità o l’intenzione di spendere una determinata somma. Gli allenatori non conoscono i bilanci, mica puoi andare da un presidente e dirgli: “Tu non capisci niente perché questo tra un anno vale dieci milioni”».
«A Cosenza sono stato non bene, ma di più. Lì c’è gente che si avvicina un po’ anche al mio modo di pensare, non è che i cosentini le cose se le tengono tanto dentro, eh? Ricordo che dopo la sconfitta casalinga contro il Rende per 3-0, un tifoso è venuto al Sanvitino per menarmi mentre Kevin Marulla provava a far rientrare la cosa. Ma in quel momento ci stava che i tifosi fossero arrabbiati, avevamo fatto una figura del cavolo. Però quel derby ci è servito tanto, da lì in poi ho cambiato tutto e siamo andati in B. A volte si impara più dalle sconfitte e dagli errori che dalle vittorie, ed è quello che auguro al Cosenza di adesso. Perché è la gente che lo chiede, è la storia di una città importante in cui si vive bene».
«Sicuramente quella di Cosenza, perché è difficile pensare di fare nove partite playoff in quel modo raggiungendo la serie B. Anche se devo dire che qualcosa di positivo, dal dopo Rende, si era iniziato già a vedere».
«In quegli istanti è naturale buttare fuori tutta la tensione e l’emozione che hai dentro».
«Sono arrivato a giocare in serie A prima nella Fiorentina e poi nel Catanzaro e da giocatore ho avuto quello che mi aspettavo e che sognavo. A Catanzaro sono rimasto sei anni e ci sono sempre stato bene. Forse l’unico dispiacere è per com’è finita calcisticamente, parlo da giocatore. Da allenatore ho vinto un campionato riportando la società in B dopo tanti anni. Avevo un grande rapporto con il presidente Parente, poi però mi sono ritrovato col povero Princi e quello che era stato stabilito con Parente è saltato. E così, alla quinta giornata, quando ancora eravamo fuori dalla zona playout, mi sono trovato a casa senza un valido motivo. Era stato deciso tutto da altre persone. Ricordo Ferrigno che mi diceva “Mister vattene, perché ti hanno già segnato”. Ma io non ne avevo intenzione, li avevo portati in B. A quei tempi ero ancora più capone di adesso».
«Catanzaro ora ha un presidente di qualità che fa lavorare tutti bene. Basta vedere quello che hanno fatto Foresti, Magalini e Vivarini prima e Polito, Morganti e Caserta adesso. C’è una società che programma bene, con criterio. Quest’anno sono arrivati ancora i playoff e l’anno prossimo credo che proveranno a salire direttamente. Se lavori bene, niente è impossibile. A volte non basta avere soldi, basta avere anche le idee, grandi idee. E a Catanzaro oggi le idee ci sono».
«Senti, ti racconto questa cosa: a Pagliuca della Juve Stabia l’ho visto allenare una settimana a Lucca e ho capito che era bravo. Poi, parlandogli, gli ho consigliato di non fare come me che mi faccio buttare fuori una domenica sì e l’altra pure, perché altrimenti in certe categorie non arrivi. Ti mettono l’etichetta addosso: sì, è bravo ma è scemo, ingestibile, dicono. Ecco, io forse in carriera, sia da calciatore che da allenatore, ho pagato tutto questo. Ho fatto 6-7 anni di B, se mi fossi comportato diversamente forse ne avrei fatti di più, ma non sarei stato Braglia. A me delle categorie non è mai importato niente, mi diverto ad allenare, lo faccio da 36 anni, dalla D sono arrivato a fare la B con i risultati che ho raggiunto, perciò sto benissimo così. Poi vediamo che succede, nella vita mai dire mai».
«Sì, ogni tanto lo sento. Soprattutto quando ha bisogno di qualche cazzotto (ride, ndr). So che con Cosenza i rapporti si sono un po’ incrinati dopo quello che è successo l’anno scorso. Cosenza a Tutino ha dato tanto, forse più di quanto lui ha dato alla città».
«Sì, so che ha vinto un altro campionato in Promozione. Mi fa piacere, sono sempre stato un suo estimatore, come ragazzo e come calciatore. Mi piaceva allenarlo, non creava problemi. Alla finale di Pescara tra Cosenza e Siena, Okereke non stava benissimo e gli dissi che avrebbe giocato lui dall’inizio. Ma mi chiese di non cambiare nulla, perché le cose stavano andando bene in quel modo. Mi disse: “Mister, come al solito mi fai entrare dopo, segno e vinciamo”. E così è stato».
«Uno dei problemi del calcio italiano è che ora va di moda il gioco da dietro. Spesso vado a vedere le partite delle varie squadre Primavera: credo che ogni allenatore deve tirare fuori il meglio dai suoi ragazzi e metterli a loro agio. Invece vedo che tanti, soprattutto a livello giovanile, ma anche nelle prime squadre, se non giocano con il portiere vuol dire che non sono all’altezza di allenare. Ma quale gioco da dietro? C’è una confusione allucinante oggi, una volta giocavi, correvi, sudavi, c’era il calcio che piace a me, fatto di sovrapposizioni, corsa, profondità, quello che continuerò ad attuare fino a quando me ne sarà data la possibilità. Magari cercando di vincere un altro campionato».
«In questo momento non mi ha chiamato nessuno, perciò aspetto come fanno tutti».
«Io faccio l’allenatore di mestiere e ovviamente dipenderebbe da quello che mi si proporrebbe. Cosenza che cosa vuole fare, la C o la B? Vuole vincere? In genere, in una piazza così, chi si rende conto di aver toppato un anno, deve fare in modo di mettere riparo, cercando di riportare il Cosenza in B, poi dopo si possono analizzare tremila situazioni. Ma, ripeto, dipende da quello che uno vuole fare, da quanto uno vuole investire. Per quanto mi riguarda posso solo dire che mi piace allenare, non vorrei finire la mia carriera così. Cerco un progetto di spessore per vincere un altro campionato. Vediamo se si può fare, se no al massimo vengo a darti una mano nel tuo giornale (ride, ndr)».
«No, meglio di no, altrimenti ti metto nei guai».
(f.veltri@corrierecal.it)
Foto del Cosenza calcio tratte dal profilo facebook della squadra
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