LAMEZIA TERME Si è chiusa a Lamezia Terme una campagna elettorale lunga, all’inizio spenta, poi accesa e combattuta come non se ne vedevano da un po’. Toni a volte troppo alti che hanno distratto dai contenuti veri con contrapposizioni spesso orientate a profili e destini personali (di ieri e di oggi) più che al domani della città. È (ri)emersa anche con prepotenza una forte caratterizzazione localista. Chi osserva da lontano ha potuto infatti rendersi conto di come, plasticamente, Lamezia Terme viva ancora oggi come debolezza ciò che inizialmente era invece la sua forza. Essere originariamente policentrica e divisa ma centrale e unica per funzioni e territorio. Il costante richiamo all’appartenenza a questo o a quell’altro dei tre centri che la compongono (Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia) non è stato affatto un buon segno. Ma ci sarà tempo e modo per verificare se la nuova amministrazione comunale si impegnerà o meno nel “ricucire” la città, nel fare del sambiasino o del nicastrese che abita a Lamezia un lametino vero e proprio. Le urne consegnano, sempre, vinti e vincitori. Due categorie all’interno delle quali è sempre possibile fare ulteriori (sotto)distinzioni.
Vince di sicuro ed incontestabilmente un centrodestra compatto che (ri)conquista la guida della città. Lo ha fatto perpetuando buona parte del consiglio comunale uscente (molte le riconferme tra gli scranni del Palazzo di Città). E riuscendo a far dimenticare un’esperienza amministrativa che nella percezione dei cittadini (giusta o sbagliata che fosse) non era ritenuta come particolarmente efficace. Nel centrodestra, tuttavia, le partite sono state e sono diverse, anche considerando un aspetto evidentemente sottovalutato a sinistra. Quella di Lamezia era una competizione fortemente regionale. Per i lametini fumo negli occhi solo a dirlo, ma è così. Si votava a Lamezia ma la testa di molti era rivolta a Catanzaro ed alla sfida che tra qualche tempo riguarderà la guida della Regione. Per il centrodestra, dopo Reggio, Corigliano Rossano, Cosenza e Vibo, perdere anche Lamezia era un azzardo forse troppo grande.
A tutti è apparso chiaro come la soluzione Murone fosse sostanzialmente figlia di Pino Galati. Vicepresidente nazionale e coordinatore regionale del partito il leader centrista ha incrociato da subito i guantoni con la candidata a sindaco di centrosinistra. Una contrapposizione storica a cui si è aggiunta, per esplicita ammissione, una diversità quasi antropologica. Temuto da molti Galati è oggi, al di là dei rapporti di forza delle liste ed in Consiglio Comunale, il dominus dell’esperienza amministrativa che sta per nascere.
Le liste ispirate e gestite dal Presidente del Consiglio regionale Filippo Mancuso e dal deputato Domenico Furgiuele fanno i conti con risultati, frutto anche di una non ammessa ma esistente competizione interna, che possono essere sommati e fanno del bacino elettorale leghista quello più consistente in città. Se per Furgiuele la performance poteva esser data quasi per scontata, considerato l’impegno pluriennale, il radicamento sul territorio e il suo essere lametino, a sorprendere è stato di certo il risultato che si è intestato Filippo Mancuso. Se volessimo usare un argomento caro ai lametini (si fa per dire) il coordinatore regionale della Lega è l’unico catanzarese doc che è riuscito ad essere protagonista. Ad altri è infatti andata decisamente peggio. Premiata evidentemente la scelta dei toni bassi e del profilo concreto. Da ultimo il dato politico, che di certo sarà letto con occhi interessati a Via Bellerio, e cioè l’aver trascinato a Lamezia Terme in poco tempo e per ben due volte il leader nazionale Matteo Salvini. Scelta audace con una sovraesposizione rischiosa ma alla fine premiata dal risultato e dall’avere un sindaco in terra bruzia. Il “Capitano” leghista, per stare ai celebri meme, si sarà prodotto in uno dei suoi ormai epici elenchi scanditi con le dita «Lamezia, Lamezia, Lamezia…».
È il partito che solleva, oggettivamente, più interrogativi. All’inizio (e frettolosamente visto il risultato finale) il coordinatore regionale Cannizzaro, che aveva in casa la “grana” Mascaro e tentato poi la soluzione Ionà come candidato, ha ribadito, più volte, che l’indicazione di Murone dovesse essere ascritta a Noi Moderati e Lega. Quasi una sorta di originaria excusatio non petita (della serie, non si sa mai). Il terzo piazzamento non è certo rispondente al profilo di una Forza Italia che qui in Calabria mira ad essere granaio del partito e la parallela quanto caotica vicenda di Calabria Azzurra, coordinata da un consigliere regionale di Forza Italia, non aiuta. Per le dinamiche interne di quella lista il risultato con non può essere affiancato (men che meno sommato) a quello degli azzurri. Le considerazioni di Cannizzaro, a caldo ieri sera, non sono state – a giudizio di molti – esattamente lungimiranti. Aver ribadito la distinzione da Bevilacqua forse descrive una oggettiva realtà, di certo la messe di voti ottenuta dal candidato indipendente è troppo consistente per far finta che non esista. Soprattutto in futuro. Sempre in Forza Italia da rilevare la terzietà istituzionale del vicesegretario nazionale del Partito Roberto Occhiuto che ha, evidentemente, privilegiato il ruolo di Presidente della Giunta Regionale. Non essere sceso direttamente nella competizione elettorale (al netto di un breve video in sostegno) è una scelta che dovrebbe fare scuola. Le Istituzioni appartengono a tutti soprattutto quando chi le presiede non ha incarichi politici riferiti alla regione.
È il primo partito della coalizione Fratelli d’Italia con una campagna elettorale diversa dagli altri e più sobria. La lista, in parte identitaria, in parte con innesti (determinanti) sottratti ad altre aree di riferimento. I tre eletti sono ricchi di storicizzate preferenze ma provenienti non dal bacino storico della destra. In un caso, passato attraverso l’esperienza civica Mascaro, la provenienza è dal Pd.
Un’occasione persa, l’ennesima e segnata sin dall’inizio dai soliti costumi dem. Guerre di posizione, movimentismo destinato a impallinare “nemici” interni, soluzioni rabberciate pur di non far passare quella ritenuta distante, una narrazione di giovani contro vecchi, entusiasti contro imposti. Avere un vantaggio competitivo sul centrodestra, alle prese con la non ricandidatura di un sindaco uscente, e perderlo è stata di certo una prodezza di tafazziana memoria. Un gioco al massacro che ha depotenziato ed impallinato non poco la candidatura a sindaco. Essersi accodati e solo alla fine alle indicazioni degli altri partiti del “campo largo” non è stata una scelta intelligente. Unico merito del partito Democratico, e non è comunque poco, aver fatto il proprio dovere nelle urne con il risultato di essere primo partito della città. L’elenco delle forze politiche nel centrosinistra, al metto della buona prestazione della lista ispirata dalla candidata a sindaco e dell’impegno di Azione, finisce qui. E questo la dice già lunga.
Altra considerazione. I voti espressi sui referendum (evidentemente riferibili all’area di centrosinistra) e quelli destinati a beneficio della candidata di centrosinistra. Una differenza così marcata e consistente da aprire scenari di riflessione non proprio edificanti. Tra l’altro, come se non bastasse, è certo che l’esito elettorale di Lamezia Terme avrà effetti sull’imminente congresso provinciale del Pd. Per i dem un’altra prova, da valutare se abbiano interiorizzato la lezione o se invece continueranno con l’autolesionismo.
Mario Murone, a dispetto della narrazione che lui stesso fa, non era percepito come performante. A dirlo non erano i suoi avversari ma gli stessi compagni di viaggio al riparo da taccuini e telecamere. Ha scelto in campagna elettorale il profilo della bonomia, quasi una sorta di arrendevolezza che consente di avanzare. Un ossimoro da approfondire. A menare con toni forti sono stati i suoi sostenitori, decisi e diretti. Lui è rimasto un passo indietro, ha ribadito sì i concetti ma con un approccio della serie “lo dico ma mi dispiace”, “lo affermo ma non posso fare altrimenti”. Una tecnica che si è rivelata efficace. Ora la sfida più complessa, trovare e gestire un equilibrio tra forze politiche pesanti e personalità i cui percorsi hanno a che fare con Lamezia ma non coincidono solo con la città. Per alcuni la prospettiva è la regione, per altri gli interessi travalicano il Pollino. E farlo in un contesto completamente rovesciato, se Mascaro era il civico che prevaleva sulla politica, Murone indica invece nella politica il “dominus” e nel suo civismo il punto di equilibrio.
Onore delle armi a Doris Lo Moro. Si può essere sostenitori convinti o acerrimi avversari ma di certo l’onestà intellettuale dovrebbe riconoscere di essere in presenza di una storia politica ed amministrativa di tutto rispetto. Un cursus honorum partito da Lamezia e giunto fino in Parlamento. La candidata del centrosinistra ha pagato molte cose, dall’iniziale avversione di parte del PD alla polemica forzata e strumentale sulla sanità. Senza tralasciare quelli che sono, a prima vista ed in attesa di analisi più approfondite, delle evidenti discrasie nelle dinamiche del voto del centrosinistra. Rimane ora da capire se Doris Lo Moro deciderà di rimanere in Consiglio comunale e garantire in un civico consesso (che ultimamente non ha brillato) una voce autorevole e di esperienza. Ipotesi quest’ultima che potrebbe essere utile alla città nel suo complesso e, in definitiva, anche al centrodestra ed al suo Sindaco. (redazione@corrierecal.it)
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