La ‘ndrangheta all’ombra della Mole: le mire sulle criptovalute e le alleanze nella “zona grigia”
In Piemonte sempre più presente la malavita calabrese. I moniti del Prefetto di Torino e i rischi sulle grandi opere

TORINO La ‘ndrangheta in Piemonte cresce, si espande, si consolida. Lo dimostrano le ultime operazioni e lo certificano le sentenze che restituiscono la fotografia di una criminalità organizzata calabrese di origini, ma sempre più piemontese d’adozione. Il giro d’affari si è spostato al Nord, seppur le radici calabresi, soprattutto quelle di Polsi e del Reggino, restano solide: così, loro malgrado, anche i settentrionali più negazionisti sono stati “costretti” ad aprire gli occhi. La ‘ndrangheta per anni ha approfittato del silenzio, dell’indifferenza e della tipica sottovalutazione della criminalità per avvicinarsi alle imprese, infiltrarsi e creare un sistema dedito al riciclaggio. Aziende nate dal nulla, meno “notabili” in un fiorente sistema economico e commerciale come quello presente al Nord.
Da Bardonecchia a Carmagnola
Così la ‘ndrangheta si è radicata all’ombra della mole, fino a colonizzare veri e propri paesi. Il primo comune sciolto per ‘ndrangheta al Nord è stato Bardonecchia, nel lontano 1995. Esattamente 30 anni dopo la Cassazione, con la sentenza del processo Carminius, ha riconosciuto il locale di Carmagnola, strettamente legato al clan Bonavota di Sant’Onofrio. Nello stesso dispositivo, gli ermellini hanno condannato a 16 anni di carcere Salvatore Arone, ritenuto dalla Procura punto di riferimento delle ‘ndrine nel comune piemontese. Una figura negli ambienti criminali, come riferito dal pentito Andrea Mantella, «rispettato come un santo o come Padre Pio», a conferma della rilevanza della ‘ndrangheta piemontese, non “colonia” ma criminalità di primo piano.
I moniti delle istituzioni
Un problema per anni sottovalutato da cittadini e società, nonostante i vari moniti di magistrati e istituzioni. Allarmi che continuano ad essere lanciati perché, se l’attenzione delle Procure è già alta, ancora non lo è abbastanza quella della società. «Nel Torinese e in Piemonte, la ‘ndrangheta soprattutto, opera sottotraccia e in modo silente, cercando collusioni, proponendo affari e offrendo servizi e soprattutto presentandosi come affidabile partner economico» ha detto il prefetto di Torino Donato Giovanni Cafagna, intervistato da LaStampa. Infiltrarsi nell’economia, inglobando aziende piccole o creandole dal nulla, col fine di riciclare milioni di euro “sporchi”. Sfruttando, sottolinea il prefetto, le alleanze «nella cosiddetta zona grigia di chi opera border-line». Nella sola provincia di Torino ogni mese due aziende sono destinatarie di provvedimenti antimafia, scovate dall’abile lavoro degli inquirenti che indagano in un complesso gioco di «scatole cinesi» favorite dal «camaleontismo» della ‘ndrangheta.
Dalle grandi opere alle criptovalute
I settori sono quelli tipici: edile, ristorazione, autotrasporti, ambientale con la gestione dei rifiuti e dell’energia, oltre alle strutture ricettive. La ‘ndrangheta varia gli investimenti e si mimetizza nella fiorente economia piemontese, mirando soprattutto alle grandi opere, Tav, autostrade e ferrovie. Per il prefetto la sfida ora si sposta, anche, nel virtuale: gli interessi criminali nelle criptovalute. Una ‘ndrangheta che corre e si evolve, sfrutta il Nord per fare affari e si mimetizza tra l’indifferenza della società. (ma.ru.)
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