CASTROVILLARI «Dalla sintesi (…) dei principali eventi criminali susseguitisi sul territorio bruzio (limitata alle posizioni degli imputati che hanno optato per il giudizio abbreviato) si comprende appieno l’esistenza di un processo dinamico di aggregazione delle alleanze tra i gruppi criminali». E’ quanto mette nero su bianco la gup del tribunale di Catanzaro Fabiana Giacchetti, nel motivare la sentenza con la quale sono stati inflitti dieci secoli di pena nei confronti di 82 imputati (37 le persone assolte) al termine del processo celebrato con rito abbreviato e scaturito dall’inchiesta denominata “Reset“. Si tratta della maxi operazione coordinata dalla Dda di Catanzaro il primo settembre 2022, quando si chiuse il cerchio su alcuni dei presunti membri di una associazione di tipo ‘ndranghetistico, finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Il 31 luglio 2025 è il termine ultimo per impugnare la decisione.
Il quadro descritto evidenzia «la continua operatività di una confederazione di matrice ‘ndranghetistica durevole ed in grado di deliberare e governare il flusso delle incessanti vicende criminali». Per la giudice, al vertice della Confederazione – come supposto anche dalla Dda di Catanzaro – ci sarebbe Francesco Patitucci che avrebbe assunto un ruolo di «coordinamento», assunto nei periodi di sua detenzione, dal reggente Roberto Porcaro, «al corrente delle principali dinamiche criminali di tutto il territorio e gestore della bacinella comune».
Questa sorta di sindacato di ‘ndrangheta sarebbe sorretto da una serie di gruppi e sottogruppi operanti come articolazioni autonome, ribadendo però che i presunti clan riferibili a D’Ambrosio, Di Puppo e Presta «non hanno mai ottenuto un riconoscimento giudiziale, a differenza di quella Lanzino – di cui i gruppi Patitucci e Porcaro costituiscono l’evoluzione, sub specie di enti capofila della più ampia confederazione – o del gruppo degli Abbruzzese». Sono le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia con un passato nella galassia criminale bruzia a cristallizzare «l’esistenza del fenomeno confederativo», nato dalla decisione «assunta dai maggiori esponenti di vertice della criminalità cosentina, durante importanti summit di ’ndrangheta».
Un patto che ha dato vita all’accordo tra “Italiani” e “Zingari”. Una circostanza, ad esempio, suggerita dal pentito Franco Bruzzese quando chiamato a testimoniare indica la presenza di un «gruppo federato tra gli Zingari e gli Italiani» e di un percorso di progressivo avvicinamento tra le cosche «che culminava nel novembre 2011, in un incontro al quale partecipava anch’egli, oltre a Ettore Lanzino – all’epoca latitante, Umberto Di Puppo, Francesco Patitucci e Maurizio Rango».
Nelle motivazioni della sentenza, la gup si sofferma sullo spaccio di droga: core business della Confederazione cosentina. Anche in questo caso, la gestione del narcotraffico risponde alle “regole” dettate dai clan federati, con una ripartizione. «La cocaina, tramite i loro canali perviene ai fratelli Di Puppo che la fanno gestire a Roberto Porcaro. L’eroina è invece appannaggio degli Zingari e, in tal senso, viene gestita dai “banana” mentre hashish e marijuana venivano gestiti in maniera autonoma.
Sulle estorsioni perpetrate ai danni di imprenditori operanti nel settore delle
pompe funebri, invece, si sarebbe stabilito una sorta di “consorzio”. «Gli imprenditori si sono accordati per raccogliere, in base al numero di servizi funebri svolti in un mese, le quote, a titolo di estorsione, che in modo complessivo e univoco vengono versate alla bacinella del gruppo federato».
C’è un passaggio, illuminante, nel quale la gup Giacchetti si sofferma sulla presunta aggravante nei confronti dei reati commessi nel settore gaming. «II denaro reimpiegato può provenire dai delitti compiuti vuoi dagli affiliati nell’ambito associativo vuoi da terzi, che si rivolgano all’associazione per il riciclaggio o l’investimento del denaro ingiustamente acquisito». Nel caso di specie, l’Ufficio di Procura «ritiene sussistente l’aggravante in ragione del finanziamento dell’attività del “Gaming” mediante proventi illeciti, nonché per il reimpiego ed il riciclaggio degli stessi per il tramite delle molteplici intestazioni fittizie variamente contestate ed, infine, per le stesse ragioni anche con riguardo al settore della “Security”». Tuttavia, sottolinea, la giudice «si è già ampiamente esposto come per il settore del “Gaming” e per le intestazioni fittizie che potrebbero legittimare l’applicazione dell’aggravante, si è pervenuti ad assoluzione di tutti gli imputati». Per quanto concerne, l’ambito della “Security”, «la contestata aggravante va del pari esclusa». (f.benincasa@corrierecal.it)
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