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l’intervista

Caselli: «Riina mi definì comunista a Reggio Calabria»

Così l’ex procuratore a La Stampa. «Etichetta sbagliata al magistrato che dà fastidio»

Pubblicato il: 24/06/2025 – 10:16
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Caselli: «Riina mi definì comunista a Reggio Calabria»

ROMA «Il primo a etichettarmi come “comunista” fu Totò Riina, durante un’udienza nel bunker di Reggio Calabria, mentre si discuteva dell’omicidio del giudice Scopelliti. In quell’occasione, davanti alle telecamere di mezzo mondo, il boss si rivolse all’allora presidente del Consiglio, Berlusconi, mettendolo in guardia contro tre presunti “comunisti” accusati di manipolare i pentiti». A raccontarlo è Gian Carlo Caselli, ex procuratore, in una lunga intervista pubblicata oggi da La Stampa.
Caselli ripercorre episodi in cui è stato bersaglio di attacchi da parte di mondi opposti: «Quando sono tornato a Torino e ho dovuto affrontare le violenze di alcune frange del movimento NoTav, sono stato addirittura dipinto come mafioso e fascista. Quei gruppi pretendevano l’immunità, come se fossero dei Berlusconi qualunque». Ironia a parte, secondo Caselli, questo tipo di accuse risponde a un meccanismo ben preciso: «In Italia si continua ad applicare l’etichetta sbagliata al magistrato che dà fastidio, solo perché fa il proprio lavoro. È un modo per delegittimarlo».
Ma il colpo più duro, ammette l’ex magistrato, è arrivato dalla politica: «Durante il governo Berlusconi, fu approvata una legge fatta su misura contro di me. L’obiettivo era impedirmi di concorrere alla carica di procuratore nazionale antimafia, negandomi un diritto legittimo. Il tutto giustificato pubblicamente con l’idea che dovessi “pagare” per il processo Andreotti. Come se fosse irrilevante che la Cassazione avesse riconosciuto che Andreotti aveva commesso il reato di associazione a delinquere con Cosa nostra fino al 1980, anche se il reato era prescritto».

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