La Calabria dei piccoli comuni: luci e ombre di un sistema politico-sociale
La crisi finanziaria degli enti locali è un’emergenza nazionale, ma in Calabria assume proporzioni allarmanti.

Un’Italia a due velocità, dove lo sguardo dello Stato sembra soffermarsi soprattutto sui grandi centri urbani, lasciando i piccoli comuni a dibattersi in un’agonia silenziosa. È questa la fotografia che emerge analizzando la situazione amministrativa e finanziaria della Calabria, una regione in cui la fragilità dei piccoli centri si scontra con una percezione diffusa di disparità nell’intervento delle istituzioni centrali. Mentre nei comuni medio-grandi bastano piccole anomalie per far scattare commissioni d’accesso e controlli, le realtà minori sembrano condannate a un declino inesorabile, tra bilanci in rosso, appalti opachi e cittadini vessati da tasse sempre più alte. I piccoli comuni sono custodi di storia e identità, ma rappresentano anche l’anello più debole della rete istituzionale italiana. In Calabria questa fragilità è amplificata da un progressivo spopolamento che svuota i territori e ne compromette il presidio, alimentando un circolo vizioso: meno abitanti significano meno risorse e meno servizi, aggravando la “malagestione” e il rischio di dissesto finanziario. Oltre il 60% dei comuni calabresi – ben 258 su 404 – sono classificati “sotto livello” per offerta di servizi e spesa effettiva. Una “questione meridionale” che non si limita a episodi isolati ma rivela problemi sistemici: investimenti sottodimensionati, disparità socio-economiche, debolezza istituzionale e, talvolta, collusioni con la criminalità organizzata.
I numeri della crisi
La crisi finanziaria degli enti locali è un’emergenza nazionale, ma in Calabria assume proporzioni allarmanti. Secondo una ricerca della Fondazione Nazionale dei Commercialisti (giugno 2024), in Italia ci sono 470 comuni in difficoltà finanziaria: 257 in predissesto e 213 in dissesto. Il Mezzogiorno è l’area più colpita, e la Calabria contribuisce in modo significativo a questi numeri: 36 comuni in predissesto (14% del totale nazionale) e 52 in dissesto (24%), posizionandosi come seconda regione più colpita dopo la Sicilia. Anche i dati più recenti del Ministero dell’Interno (gennaio 2025) confermano la concentrazione delle criticità nelle regioni del Sud, in particolare Sicilia, Calabria e Campania. Se è vero che il dissesto è più diffuso nei piccoli comuni (circa il 45% ha meno di 5.000 abitanti), il Ministero sottolinea come il fenomeno stia coinvolgendo anche realtà più grandi. Alla base di questa sofferenza ci sono principalmente l’incapacità di riscossione delle entrate, la mancanza di una strategia di medio-lungo periodo e la scoperta di disavanzi rimasti per anni nascosti.
Il costo della crisi per i cittadini
Le conseguenze ricadono direttamente sui cittadini. Reggio Calabria, ad esempio, risulta il comune d’Italia con il carico fiscale più elevato per una famiglia media: nel 2024 la TARI (tassa sui rifiuti) ha raggiunto i 478 euro annui per famiglia, contro una media nazionale di 325 euro. Un costo sproporzionato rispetto alla qualità dei servizi, causato da un sistema inefficiente e dalla carenza di infrastrutture adeguate. Questo squilibrio fiscale, dove si paga di più per servizi carenti, alimenta lo spopolamento e la disaffezione civica.
Appalti, infiltrazioni e mala gestione
Il settore degli appalti pubblici rappresenta un terreno fertile per le irregolarità. Il TAR Calabria si è più volte pronunciato su gare viziate da irregolarità fiscali, e la storia recente della Regione è segnata da numerosi contenziosi. Una pratica diffusa è il frazionamento artificioso degli appalti: progetti unitari suddivisi in lotti più piccoli per eludere le soglie che renderebbero obbligatorie gare più competitive, favorendo affidamenti diretti e minando trasparenza e concorrenza. La Calabria detiene il triste primato nazionale per numero di comuni sciolti per infiltrazioni mafiose: 121 dal 1991, oltre la metà dei quali in centri con meno di 5.000 abitanti. I settori più esposti sono urbanistica, edilizia e lavori pubblici. La durata media dei commissariamenti è di 26 mesi, ben oltre i 18 previsti, segno della complessità delle situazioni. A questo si aggiunge una cronica carenza di personale nei piccoli comuni, dovuta al blocco dei concorsi pubblici e alla difficoltà di attrarre figure qualificate. La mancanza di risorse umane adeguate limita la capacità di gestire appalti e servizi in autonomia, aumentando l’inefficienza complessiva.
Minacce e intimidazioni
L’ambiente amministrativo è reso ancora più ostile dalle intimidazioni. La Calabria è la seconda regione d’Italia per numero di atti intimidatori contro amministratori locali: dal 2010 al 2024 sono stati censiti 844 episodi. Sindaci, assessori e consiglieri comunali subiscono minacce, incendi di veicoli, campagne diffamatorie sui social e incursioni negli uffici pubblici. L’ANCI Calabria ha più volte espresso solidarietà a questi amministratori, denunciando come tali atti minino profondamente il tessuto democratico.
Un intervento statale asimmetrico
La percezione di una disparità nell’intervento dello Stato è forte. Lo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose, previsto dall’articolo 143 del TUEL, scatta solo in presenza di “concreti, univoci e rilevanti elementi” di collegamento con la criminalità organizzata. Tuttavia, l’esperienza dimostra che queste misure colpiscono quasi esclusivamente i comuni più piccoli, mentre nelle città più grandi o nelle province le richieste di scioglimento sono quasi assenti. Non è un segnale di assenza di problemi nei centri urbani maggiori, ma il riflesso di una diversa modalità operativa della criminalità organizzata. Nei piccoli comuni le infiltrazioni sono più dirette e facilmente dimostrabili; nei grandi centri, invece, prevale la cosiddetta “zona grigia”, fatta di professionisti e imprenditori collusi, rendendo più difficile provare i collegamenti diretti. Il risultato è paradossale: nonostante il numero elevato di scioglimenti, questo strumento si è rivelato poco efficace nel risolvere i problemi alla radice. La lunga durata dei commissariamenti conferma un intervento più punitivo che risolutivo, incapace di costruire una capacità amministrativa duratura.
Le buone pratiche esistono
Nonostante questo scenario a tinte fosche, la Calabria non è priva di esempi virtuosi. Comuni come Jonadi, Mormanno, Aiello Calabro, San Mango d’Aquino, Serra San Bruno e tanti altri sono guidati amministratori che hanno saputo intercettare risorse e mettere in campo progetti per lo sviluppo del territorio. Questi amministratori rappresentano una speranza concreta. Il Ministero dell’Interno ha promosso la “Banca dati delle buone pratiche” proprio per valorizzare e diffondere esperienze positive, favorendo il confronto tra enti locali. Tuttavia, il lavoro dei sindaci rimane difficile e spesso poco supportato a livello di programmazione politica regionale. Le buone pratiche esistono, ma sono il frutto di un impegno personale straordinario e di un coraggio che spesso si scontra con resistenze interne ed esterne.
Tra declino e rilancio possibile
Lo spopolamento è una delle emergenze più gravi che affligge i piccoli comuni calabresi. La mancanza di servizi essenziali, infrastrutture inadeguate e l’assenza di opportunità lavorative spingono i residenti ad andarsene, aggravando il declino demografico ed economico. L’abbandono del territorio porta anche a un aumento del rischio idrogeologico e a un progressivo impoverimento del tessuto sociale. In questo contesto, sono state varate alcune iniziative per il rilancio: la Legge 158/2017 sui piccoli comuni, il “Progetto Controesodo” dell’ANCI e, più recentemente, le piattaforme ANAC per supportare i piccoli enti nella prevenzione della corruzione. La Corte dei Conti continua a monitorare la situazione, denunciando disorganizzazione, bilanci in rosso e carenza strutturale di personale. Per cambiare rotta, serve un intervento sistemico che passi da una vigilanza solo repressiva a un approccio proattivo, investendo nella formazione degli amministratori, nella cooperazione intercomunale e in un sistema di supporto che rafforzi le capacità gestionali degli enti locali. Solo così i piccoli comuni calabresi potranno sperare in un futuro di resilienza e sviluppo, e non limitarsi alla sopravvivenza.
Ripensare la geografia amministrativa
Di fronte a un sistema di piccoli comuni in crisi cronica, è ormai necessario aprire un dibattito serio sulla razionalizzazione della geografia amministrativa calabrese. Mantenere in vita enti con poche centinaia di abitanti, ciascuno con un proprio apparato burocratico, non è più sostenibile né economicamente né in termini di efficienza dei servizi. La fusione tra comuni può rappresentare una soluzione concreta. Diverse regioni italiane – come Emilia Romagna e Toscana – hanno già adottato questo modello, riducendo la frammentazione amministrativa e favorendo l’accesso ai finanziamenti. In Calabria, invece, prevale ancora una cultura del campanilismo che ostacola questo tipo di operazioni, nonostante le evidenti criticità. Un percorso di fusione ben gestito consentirebbe di ottimizzare le risorse, superare la cronica carenza di personale qualificato e migliorare la qualità dei servizi per i cittadini. Preservare le identità locali è importante, ma non può diventare un alibi per perpetuare inefficienze che danneggiano le comunità stesse.