La «rivitalizzazione» del clan Piromalli, tra «conflitti e dissapori» il ritorno sulla scena di Pino “Facciazza”
L’inchiesta “Res Tauro” ha documentato il ruolo «strategico del clan all’interno del territorio» tanto da influenzare pesantemente «dinamiche e decisioni»

REGGIO CALABRIA Una indagine che ha permesso di accertare la «rivitalizzazione» della cosca Piromalli dopo la scarcerazione di quello che è stato il suo «capo carismatico e autorevole». Giuseppe, “Pino” Piromalli, detto Facciazza, una volta ritornato in libertà aveva riacquisito il comando del gruppo e riscritto le regole di funzionamento del sodalizio del territorio che riteneva fosse stato «alterato». Evidenze illustrate dal procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Giuseppe Borrelli in conferenza stampa ed emerse attraverso le indagini che hanno portato all’inchiesta “Res Tauro” della Dda. Sono 26 le persone destinatarie di misure cautelari (22 in carcere, 4 ai domiciliari), indagate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsione, riciclaggio, autoriciclaggio, detenzione illegale di armi e munizioni, turbata libertà degli incanti, favoreggiamento personale, trasferimento fraudolento di valori, aggravati dal metodo mafioso, nonché di reati in materia di armi.
L’indagine è iniziata nel 2020, sono stati eseguiti 260 decreti di intercettazione, 17 le telecamere utilizzate per documentare i numerosi episodi contestati. L’inchiesta ha permesso di accertare 32 estorsioni ai danni di imprenditori e aziende per un profitto di 200mila euro.
Dal 41 bis al ritorno sulla scena
Le indagini – hanno spiegato gli investigatori – hanno permesso di documentare «conflitti e dissapori» all’interno del clan. In primo piano le figure dei fratelli Piromalli Giuseppe (cl. 1945 “facciazza”), Gioacchino (cl. 1934) e Antonio (cl. 1939), cui è contestata la direzione strategico-operativa della cosca e delle connesse attività delittuose. Pino Piromalli, dopo 22 anni di 41bis era «rientrato prepotentemente sulla scena», all’indomani della sua scarcerazione il 10 maggio 2021, riprendendo le redini della cosca, ridefinendo i ruoli e compiti degli associati, riaffermando il suo potere sul territorio attraverso una costante pressione estorsiva ai danni di imprenditori ed operatori commerciali, attraverso l’alterazione delle aste giudiziarie mediante l’inquinamento delle relative procedure di vendita, al fine di acquisire beni d’interesse della cosca stessa, di rientrare in possesso di beni già confiscati, oppure, di ricevere denaro e/o altre utilità da terzi intenzionati ad aggiudicarsi la procedura pubblica.
L’influenza del clan
La cosca è risultata «strategica all’interno del territorio», tanto da influenzare pesantemente dinamiche e decisioni. Sono diversi gli episodi illustrati dagli investigatori in conferenza stampa, tra i più significativi quello che ha visto protagonista un imprenditore che si era dimostrato «non molto ossequioso» e per questa ragione «redarguito per nome e per conto del capo clan». «C’è stato il tentativo – è stato spiegato – per questioni familiari di spostare la classe di un comprensorio scolastico frequentata dalla nipote del capo clan e che creava problemi alla mamma nell’andare a prenderla». Sul punto il procuratore aggiunto Stefano Musolino ha parlato di «mollezza e permeabilità del tessuto sociale gioiese»: «Piromalli è stato riconosciuto subito, ha indossato quello che ha definito “il manto del lupo”, ma per indossarlo bisogna che ci siano tanti agnelli».
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato