Procreazione assistita, migliaia di coppie calabresi fuggono al Nord
Il Gatjc Fertility Center di Gioia Tauro è un’oasi privata in una regione dove il sistema pubblico è quasi assente

GIOIA TAURO In Calabria, diventare genitori attraverso la procreazione medicalmente assistita è ancora un privilegio. A resistere, in questo contesto, sono alcune realtà private che provano a colmare il vuoto lasciato dal sistema pubblico. In prima linea, il Gatjc Fertility Center di Gioia Tauro, oggi, tra i principali punti di riferimento del settore in regione. «In Calabria siamo di fronte a una vera e propria glaciazione demografica», confessa Leona Cremonese, CEO del Gatjc, al Corriere della Calabria. «Oggi si effettuano circa 600 percorsi di PMA in loco, mentre altri 1.800 vengono eseguiti fuori regione. Questa migrazione sanitaria è una sconfitta per tutti». Il Gatjc Fertility Center è accreditato con il Servizio Sanitario Regionale e copre ogni anno oltre la metà dei circa 900 cicli di PMA eseguiti in Calabria. È una struttura d’avanguardia: tecniche di secondo livello (come FIVET e ICSI), crioconservazione, fecondazione eterologa, supporto multidisciplinare. Una vera e propria isola di eccellenza in un territorio che offre poco. «Riceviamo pazienti da tutta la Calabria e anche da fuori regione», spiega Cremonese. «Molti centri pubblici non sono attivi o non hanno le competenze per eseguire tecniche complesse. Il nostro obiettivo è garantire un servizio accessibile, ma non possiamo supplire da soli alle carenze del sistema pubblico».
I numeri del divario
In Calabria risultano 12 centri autorizzati alla PMA, ma solo 3 pubblici, e di questi uno solo offre tecniche di secondo livello. La fecondazione eterologa è disponibile solo in due centri privati. Oltre l’80% delle coppie calabresi che si sottopongono a PMA sceglie di farlo fuori regione, principalmente in Lombardia, Toscana, Lazio e Campania. Le nascite da PMA in Calabria rappresentano appena l’1% del totale, contro una media nazionale del 3,3%, con punte superiori al 7% in regioni più organizzate come la Lombardia.
Un sistema pubblico in affanno
Il sistema pubblico calabrese arranca. Alcuni centri esistono solo sulla carta, come quello di Corigliano-Rossano, fermo per mancanza di personale. I consultori familiari, che dovrebbero offrire il primo orientamento, sono insufficienti: la legge regionale ne prevede uno ogni 20.000 abitanti, ma la media reale è di uno ogni 35.000. Inoltre, molti sono privi di ginecologi, biologi o psicologi. «I LEA prevedono fino a sei cicli di PMA per le donne fino a 46 anni», osserva Cremonese. «Ma nella pratica, dopo i 38 anni è difficile accedere ai servizi, specie se pubblici. Senza un sistema efficace, questi diritti restano solo sulla carta». Nonostante la Regione Calabria abbia formalmente inserito la PMA tra le prestazioni erogabili dal SSN, manca un piano organico sulla fertilità. Le prestazioni convenzionate sono pochissime, la maggior parte delle procedure resta totalmente a carico delle coppie. Nel frattempo, il direttivo regionale della SIRU (Società Italiana della Riproduzione Umana), recentemente rinnovato, si è posto l’obiettivo di intervenire per arginare l’emigrazione sanitaria, ma senza fondi e volontà politica concreta, la strada resta in salita. Ma il Gatjc non si limita all’attività clinica. Negli ultimi anni ha promosso diversi convegni, anche con il patrocinio della Regione, su temi legati alla preservazione della fertilità, il “social freezing”, la diagnosi precoce dell’infertilità e l’impatto dell’oncologia sulla capacità riproduttiva. Il diritto alla genitorialità, in Calabria, è ancora fortemente condizionato dal reddito e dalla residenza. Realtà come il Gatjc sono fari accesi in una regione che, sul tema della fertilità, viaggia spesso al buio. «Non basta avere centri accreditati – conclude Cremonese – serve una rete vera, integrata, pubblica e accessibile. Altrimenti continueremo a contare coppie in partenza, e bambini mai nati». (redazione@corrierecal.it)
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