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operazione “Saulo”

‘Ndrangheta a Cirò, lo sgarro alla sorella di Peppe u’ bandito costato la vita a Francesco Mingrone

Fatta luce sull’omicidio dell’imprenditore in pensione, ucciso «con un solo colpo di pistola» il 9 aprile 2003. I racconti dei pentiti

Pubblicato il: 14/10/2025 – 11:46
di Fabio Benincasa
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‘Ndrangheta a Cirò, lo sgarro alla sorella di Peppe u’ bandito costato la vita a Francesco Mingrone

CROTONE Fatta luce sull’omicidio di Ciccio Mingrone. Questa mattina, sono state eseguite diverse misure cautelari dai carabinieri del comando provinciale di Crotone nei confronti di persone ritenute affiliate alle cosche di ‘ndrangheta di Cirò Marina, Strongoli e Cariati. Diversi i reati contestati, a vario titolo, ma nell’elenco degli episodi crimonosi annotati da chi indaga è finito anche un fatto di sangue.
Sono state le dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia a consentire agli investigatori di far luce sull’omicidio di Francesco Mingrone, ucciso il 9 aprile 2003. Le indagini seguite al fatto di sangue, infatti, non avevano restituito elementi utili a chiudere il cerchio su mandanti ed esecutori.

Le confessioni dei pentiti

Il 15 luglio 2021, Nicola Acri – alias “Occhi di ghiaccio” e capo del locale di ‘ndrangheta di Rossano – dichiara che la paternità del delitto è da attribuire a Giuseppe Spagnolo. Che – secondo il pentito – sarebbe stato intenzionato «ad attentare alla vita del vecchio Mingrone in quanto “Peppe u’ bandito”, durante il matrimonio di qualche sodale dei Farao a Cirò Marina, gliel’aveva indicato come colui che aveva importunato sua sorella». Uscito dal carcere, Acri incontrerà Spagnolo e quest’ultimo confesserà l’omicidio.
Gaetano Aloe, altro collaboratore di giustizia, il 31 marzo 2023 dichiara di aver avuti «contatti diretti con i reali esecutori». Secondo la narrazione fornita, il pentito ritorna in Calabria dall’Umbria per partecipare al matrimonio di Elena Spagnolo, «che lo aveva scelto come testimone di nozze per volere di Peppe u’ banditu». Il pentito viene fermato a Mandatoriccio e durante un controllo dei carabinieri viene a conoscenza dell’omicidio. Aloe conosce il rifugio di Spagnolo, all’epoca dei fatti latitante, e raggiunge una abitazione dove all’interno oltre a “Peppe u’ bandito” trova anche il cognato Martino Cariati. I due – riferisce il pentito – sono coinvolti nel delitto Mingrone. Qual è il movente del delitto? L’astio nei confronti della vittima – come confessa il collaboratore di giustizia – nasce dalle presunte «molestie» perpetrate nei confronti della sorella minore di Spagnolo. Nel racconto fornito agli investigatori, sul taccuino compare un altro nome: Franco Cosentino identificato come presunto «complice». Nel dettaglio, «il compito di Cosentino era stato quello di avvisare i sicari del momento propizio per l’esecuzione, ovvero l’istante in cui Mingrone si sarebbe trovato sul furgone». Ricevuto il segnale, Giuseppe Spagnolo e Martino Cariati avrebbero fatto fuoco contro la vittima.

La scena criminis

Il 9 aprile 2003 alle 13.50, in via Cesare Battisti a Cirò Marina, l’imprenditore in pensione Ciccio Mingrone viene ucciso mentre è alla guida di un Fiat Iveco azzurro. Ai killer basta un solo colpo di pistola «entrato dapprima nella regione temporale sinistra, fuoriuscito dalla regione temporale destra» per non lasciare scampo all’uomo finito nel mirino dei suoi aguzzini poi fuggiti «a bordo di una moto con casco integrale». I racconti raccolti dalle forze dell’ordine consentono di cristallizzare – nonostante alcune discrasie presenti nelle narrazioni fornite dai testimoni escussi – ulteriori elementi e dettagli relativi al fatto di sangue. Il killer, sceso dalla moto, si sarebbe portato «sul lato sinistro guidatore del furgone Iveco (…) spalancato lo sportello (…) afferrava Mingrone per un braccio e gli puntata con la mano destra la pistola a tamburo sulla tempia». La vittima, prima di morire, avrebbe avuto solo il tempo di pronunciare un’ultima frase: «Ma che cazzo vuole questo qua?», poi il colpo e il buio. (redazione@corrierecal.it)

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