Il Catanzaro ha ritrovato la sua forza emotiva. Cosenza tra sorrisi, solitudine e nervosismo
Il cambio di passo delle Aquile e la dedica al piccolo Francesco. I Lupi tornano a brillare, ma il contesto resta surreale e negativo (insieme alle parole di Buscè). Crotone “imborghesito”

Ultimo turno di campionato favorevole (in B e C) per Catanzaro e Cosenza che tornano al successo. Male il Crotone al secondo preoccupante ko consecutivo.
Il Catanzaro ha ritrovato la sua forza emotiva
Non poteva che essere Alphadjo Cissè, il ragazzo dal sorriso timido e dal talento sfrontato, a restituire al Catanzaro un po’ di luce dopo settimane di ombre. La prima vittoria stagionale, arrivata con un ritardo esagerato, ha la firma del giocatore più ispirato di questo inizio tormentato. E il fatto che sia arrivata contro un Palermo costruito per la promozione diretta, imbattuto e con l’aria di chi si sente già in serie A, aggiunge un sapore che va oltre i tre punti. Perché a contare, più del risultato, è la scena finale: Aquilani sommerso dall’abbraccio dei suoi ragazzi, la squadra compatta attorno al tecnico come in un rito liberatorio. Un gesto semplice, ma dal peso specifico enorme: segno che lo spogliatoio è vivo, unito e soprattutto convinto del proprio allenatore.
Dopo giorni di mugugni, dubbi e dichiarazioni “difensive” del ds Polito, questa vittoria è sembrata un piccolo esame di maturità superato da tutti, dal tecnico ai giocatori.
Curiosamente, i numeri dicono che un anno fa, di questi tempi, il Catanzaro viaggiava con gli stessi punti (nove) e identico bottino di reti fatte (otto) e subite (nove). Allora iniziò la scalata. Chissà che la storia non si stia preparando a ripetersi.
A differenza di dodici mesi fa, oggi Aquilani si trova a gestire un gruppo più giovane, più verde, ma non meno ambizioso. E la sensazione è che, dopo un avvio impacciato, il tecnico romano stia trovando la chiave per parlare alla testa e al cuore dei suoi.
Nel successo contro i rosanero c’è molto di buono oltre all’equilibrio tattico: Cissè devastante, il solito Iemmello che anche senza segnare illumina, e due “seconde linee” come Buglio e Alesi che finalmente mostrano di poter incidere. In mezzo, la solidità crescente di Rispoli e Pontisso, colonne silenziose di una squadra che, forse, ha smesso di guardarsi allo specchio e ha cominciato a guardare avanti.
Crema: superare un Palermo lanciato e costruito per dominare, proprio nel momento in cui il Catanzaro e Aquilani sembravano sull’orlo del precipizio, è un segnale chiaro: questa squadra ha carattere. Lo ha detto lo stesso tecnico a fine gara, con la pacatezza di chi sa che la salita è appena cominciata: «Siamo una squadra giovane che deve affrontare alcuni step: quello di stasera era molto complicato e l’abbiamo superato».
Ma c’è una vittoria che vale più dei tre punti, ed è quella vissuta prima della partita. Sul prato del “Ceravolo” sabato il protagonista assoluto non è stato un calciatore, ma Francesco, un bambino che sta affrontando una dura battaglia e che, per una sera, ha potuto toccare con mano il suo sogno. Il capitano Pietro Iemmello lo ha sollevato tra le braccia e insieme hanno attraversato il campo, accompagnati dal canto commovente di un intero stadio: “Francesco! Francesco!”. Poi la partita, la vittoria e la dedica al bambino del capitano.
Amarezza: il sorriso resta parziale. Perché, tolto Cissè, l’attacco continua a produrre poco. Otto gol in altrettante partite sono numeri troppo magri per chi ambisce a qualcosa di più della semplice salvezza. Iemmello resta un lusso per la categoria, ma intorno a lui si avverte un certo vuoto creativo e poca cattiveria negli ultimi sedici metri. La vittoria, dunque, non deve illudere. È un raggio di sole dopo giorni di pioggia, ma il cielo non è ancora sereno.


Cosenza tra sorrisi, solitudine e nervosismo
Il Cosenza 2025-2026 è un romanzo calcistico che non riesce a trovare il suo narratore. In campo c’è una squadra che fatica, suda, si rialza. Fuori, una società che sembra parlare un’altra lingua. In mezzo, la città: spettatrice stanca, che ormai preferisce restare dietro le quinte di un teatro che un tempo sentiva suo.
Al San Vito-Marulla, ieri, l’eco del gol ha rimbalzato fra le ormai croniche scarsissime presenze: il resto del tifo e della città è rimasto fuori ancora una volta. Non per disinteresse (è sempre bene ribadirlo), ma per protesta. E questo è forse il dato più inquietante: il calcio a Cosenza si gioca su due campi diversi: il terreno verde e quello dell’anima.
La squadra di Buscè, intanto, prova a sopravvivere a questa situazione surreale. Lo fa con dignità, con il passo di chi sa che nessun applauso è scontato. Dopo due partite poco positive, Garritano e compagni hanno ritrovato vittoria e sorriso contro il Potenza. Ma il sorriso resta amaro: perché se il calcio è anche appartenenza, a Cosenza l’appartenenza è rimasta fuori dai cancelli.
La frattura tra club e città è ormai un’equazione con troppe incognite. La presentazione del progetto del nuovo stadio a Palazzo dei Bruzi, venerdì scorso, lo ha confermato in modo quasi grottesco: c’era il direttore generale Gualtieri, ma non al centro della scena; mancava invece la figura simbolica del club, quella più contestata, il presidente onorario Eugenio Guarascio. Nel frattempo, il sindaco Franz Caruso ha aperto – con una frase sibillina – alla possibilità che nel nuovo impianto possano trovare spazio anche «altre società». Un modo elegante per dire che il futuro del calcio cittadino potrebbe non coincidere con quello dell’attuale Cosenza calcio. Si può discutere di strategie, di mercati, di infrastrutture. Ma la verità è che il calcio, a queste latitudini, non è mai solo una questione di pallone. È un affare di pelle, di pancia e di cuore. E quando il cuore smette di battere all’unisono, il risultato – anche se positivo – resta un dettaglio contabile.
Crema: il Cosenza in campo merita rispetto. Sopravvissuta a un’estate di incertezze e costruita più per inerzia che per progetto, la squadra sta ritrovando orgoglio e punti, merito soprattutto del lavoro di Buscè. Ieri, però, a fine gara, l’allenatore – evidente nervosismo in volto di fronte a una sala stampa semivuota, non per sue mancanze – ha sfogato la sua frustrazione criticando chi nell’ambiente rossoblù diffonderebbe negatività e chi, fin dall’inizio, avrebbe messo in dubbio le sue capacità e quelle dei suoi ragazzi. In realtà, i giudizi più duri dei tifosi e dei giornalisti sono stati fin qui diretti solo all’operato del club, ma forse – e in questo caso non è un male – c’è qualcosa di più profondo e “interno” che ci sfugge. Sul campo, invece, emergono le storie di riscatto. Ricciardi, reintegrato dopo mesi da separato in casa, segna due gol al Potenza dopo quello realizzato contro il Sorrento: il messaggio è chiaro, «noi calciatori non molliamo». Accanto a lui, Mazzocchi firma il 3-0 con la naturalezza di chi conosce il mestiere. Paradosso dolce: oggi la parte più fragile del sistema – la squadra – è quella che regge l’intera baracca.
Amarezza: ma fuori dal campo, il silenzio pesa più di qualsiasi fischio. Alla presentazione del nuovo stadio non c’era chi – in una situazione di normalità – avrebbe dovuto esserci, e chi c’era sembrava quasi un ospite di passaggio. Il progetto “Cosenza Identity” lanciato dal dg Gualtieri, con la promessa di un club aperto al dialogo con la città e con le istituzioni, appare oggi come un’idea appartenente a un’epoca lontana.

Crotone “imborghesito”
C’è un momento, nelle stagioni di calcio, in cui il pallone smette di girare come prima. Si abbassa la luce, si accorciano le idee, e le certezze si sfaldano una dopo l’altra. Il Crotone è dentro questo passaggio da qualche settimana: da squadra che sembrava potersi giocare la vetta del girone C di Serie C, a formazione che arranca, si spegne e fatica a riconoscersi. La sconfitta di Cava de’ Tirreni – seconda consecutiva e prima lontano dallo “Scida” – non è solo un episodio negativo. È la fotografia nitida di un periodo difficile, in cui i numeri si sommano alle sensazioni: attacco che non punge, gioco che non decolla, fiducia che si sgretola. Il gol di Munari, arrivato dopo appena tre minuti, ha tagliato le gambe a una squadra che ha provato a reagire più d’orgoglio che di convinzione. Ma la verità è che, nonostante il possesso e qualche sprazzo nel finale, il Crotone non ha mai dato la sensazione di poter raddrizzare la partita.
Il dato più evidente, e insieme più preoccupante, è quello di Gomez, il bomber principe dei rossoblù: da tre gare non segna, e con lui si è spenta la scintilla offensiva. Non è solo questione di gol: è il movimento dell’attacco a sembrare ingolfato, prevedibile, quasi stanco. Longo è convinto che sia un momento passeggero, ma i segnali vanno oltre l’episodio. Il Crotone ha perso fluidità, ritmo e convinzione. E se l’attacco si inceppa, anche il resto del meccanismo – fino a poche settimane fa collaudato – comincia a scricchiolare. A tutto questo si aggiunge un contesto societario che certo non aiuta. Il Tribunale di Catanzaro ha infatti confermato la misura di amministrazione giudiziaria nei confronti della società Fc Crotone s.r.l., rigettando il ricorso presentato dalla difesa. Una decisione che, al di là degli aspetti giudiziari, incide sulla serenità dell’ambiente. Quando il campo vacilla e la scrivania traballa, il rischio è che il tutto si trasformi in un peso collettivo, difficile da reggere anche per uno spogliatoio esperto.
Crema: settimana povera di fatti scintillanti in casa rossoblù, ma non per questo senza protagonisti. In cima alla crema ci finisce Emilio Longo, l’uomo del momento a Crotone – e non per i motivi più comodi. Qualche critica comincia a piovere, ma lui non si nasconde. Dopo la partita con la Cavese ha messo le cose in chiaro: «Sono sicuro che quest’anno il Crotone farà meglio della scorsa stagione». Parole da uomo che non trema. E con una punta di orgoglio (magari poco originale) ha ricordato: «Non eravamo fenomeni prima e non siamo diventati brocchi adesso». I numeri, in effetti, parlano di sei gol segnati e solo due subiti nelle ultime quattro partite – anche se, ironia della sorte, sono bastati per incassare due sconfitte. Ma è la chiosa (quasi filosofica, a valergli un posto d’onore tra i più “cremosi” della settimana: «Gli schiaffi che stiamo prendendo dovranno servirci per capire che in certe circostanze bisogna essere meno salottieri e borghesi».
Amarezza: l’amarezza è quella di una tifoseria che aveva ricominciato a crederci. Che aveva visto nei primi turni una squadra viva, capace di entusiasmare e di pensare in grande. Oggi, invece, restano i rimpianti e qualche paura. La vetta si allontana, il gioco si è spento, e la società vive un momento delicato. Il Crotone è chiamato a una risposta – di orgoglio, di identità e di appartenenza – prima che il buio diventi abitudine. Perché la sensazione, adesso, è che serva molto più di una vittoria per invertire davvero la rotta. (fra.vel.)

Foto Us Catanzaro, Cosenza calcio e Fc Crotone
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