Democrazia sotto pressione, il caso del Ponte sullo Stretto: «i discorsi d’odio» e la crisi del dialogo istituzionale – VIDEO
Il docente e politologo Raniolo: «La polarizzazione politica e della comunicazione tende sempre più a distinguere e a dividere»

COSENZA Il niet della Corte dei Conti al progetto di realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina è solo l’ultimo episodio oggetto di scontro tra maggioranza ed opposizione. Il clima è rovente, i toni accesi, un momento storico particolarmente delicato segnato da profondi e duri contrasti. «Le democrazie occidentali sono prima di tutto democrazie liberal costituzionali. Questo vuol dire che la democrazia non è soltanto un sistema di demopotere o di potere di una maggioranza, ma è un sistema anche di pesi e contrappesi, in cui ci sono istituzioni di controllo, attori che garantiscono il rispetto di diverse regole da quelle costituzionali alle norme di legge fino alle regole contabili. Questo vale, ovviamente, per ogni singola istituzione e vale, a maggior ragione, per i governi», sostiene il politologo e docente Unical Francesco Raniolo, in una intervista al Corriere della Calabria.
La Corte dei Conti ha smontato il ponte e provocato la reazione della maggioranza che parla di «ingerenza intollerabile»
«I governi democratici sono, prima di tutto, limitati da quelli che i politologi chiamano meccanismi di accountability, sono limitati dalla Corte Costituzionale, dalla presenza di organi di garanzia come il Presidente della Repubblica, di una pluralità di magistrature, come, in questo caso, la Corte Contabile, che hanno funzioni ben precise. Tra l’altro, i giudizi delle Corti, spesse volte, non sono neanche insuperabili: si entra nel merito, si valuta, si cambia, si ragiona. In questo ambito, non dimentichiamo che le decisioni dei governi sono limitate dagli accordi, dai trattati, dalla nostra appartenenza ad organismi sovranazionali, come per esempio l’Unione Europea».
L’invito è ad un maggiore dialogo, ma in questo momento storico sembra quasi impossibile
«Le democrazie sono sistemi a voci plurali e, naturalmente, presuppongono un dialogo, una capacità di mediazione, a volte è opportuno anche ritornare sui propri passi. Un governo democratico risponde ai cittadini, ma dà conto ad altre istituzioni, ed è questo che lo rende accettabile dal punto di vista delle libertà e delle garanzie costituzionali».
Il clima resta rovente e probabilmente non aiuta tutti quegli elettori disincantati, che puntualmente scelgono di non recarsi alle urne
«Il clima d’opinione pubblica e, diciamo, lo stile di comunicazione che spesse volte si adotta – negli ultimi 20 anni, 30 anni – ha subito una caduta di stile, anche una radicalizzazione. Il fenomeno è oggi studiato un po’ in tutti i paesi occidentali ma non solo. Basti pensare alla polarizzazione delle posizioni in America con lo sdoganamento da parte del presidente Trump di tutto ciò che non è diplomatico. Le democrazie sono sistemi molto sensibili e fragili e la comunicazione ha un ruolo decisivo. Questo è il portato di una competizione tra i partiti che tende sempre più a surriscaldarsi e lo si vede, appunto, dalle dichiarazioni in Parlamento. La televisione ha un peso notevole perché buona parte del dibattito pubblico si è trasferito nel piccolo schermo, buona parte delle decisioni si discutono negli studi televisivi dei principali programmi di approfondimento. La televisione tende a favorire l’aggressività e la trivializzazione del dibattito: si discute di cose banali, aspetti privati, piuttosto che di cose pubbliche, ma questa trivializzazione viene accompagnata da una radicalizzazione delle posizioni».
E sui social?
«I social hanno dato un ulteriore colpo alla stile e alla qualità della comunicazione. Accanto ad un’apertura delle possibilità di informazione, di comunicazione, hanno anche favorito processi gli hate speech, cioè i discorsi d’odio. Le comunità virtuali sono spesso casse di risonanza di posizioni anche spesse volte illegali, pensate a quello che sta succedendo con i casi e i siti di deepnude e deepfake. Tutto questo sta spingendo verso un clima che tende a surriscaldare la comunicazione ed è un ulteriore elemento di debolezza della democrazia. Una volta si parlava di democrazie dialogiche, dove si discute, a volte, anche ricorrendo ad un dibattito acceso, ma questo doveva essere poi controllato. Una delle conseguenze di questo clima è che tende a rimbalzare nella società: la polarizzazione politica e della comunicazione tende sempre più a distinguere, a dividere campi, gruppi, comunità. E anche questo non è un passaggio opportuno, specialmente quando si devono affrontare grandi questioni politiche». (f.benincasa@corrierecal.it)
L’intervista:
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