Estorsioni nei rifiuti a Vibo e l’ombra dei Pardea-Ranisi, l’appello della Dda: «Assoluzioni illogiche»
La Distrettuale antimafia di Catanzaro ha presentato appello contro la pioggia di assoluzioni dello scorso luglio

VIBO VALENTIA La Distrettuale antimafia di Catanzaro ha presentato appello contro la valanga di assoluzioni nel processo nato dall’inchiesta legata al presunto controllo esercitato dalla criminalità organizzata nel settore della raccolta dei rifiuti nel comune di Vibo Valentia e le estorsioni subite dalle ditte incaricate, la ASED srl e la DUSTY srl, ma non solo. Lo scorso luglio, infatti, al termine del processo di primo grado – celebrato con rito ordinario – i giudici del Tribunale di Vibo Valentia (Barbara Borelli presidente) avevano condannato soltanto Michele Manco, vibonese classe ’88, a 6 anni e 3 mesi mentre erano stati assolti tutti gli altri imputati: Domenico Macrì detto “Mommo” (cl. ’84); Francesco Antonio Pardea (cl. ’86); Salvatore Morelli (cl. ’83); Domenico Camillò (cl. ’94); Andrea Mantella (cl. ’72); Salvatore Mantella (cl. ’74); Vincenzo Mantella (cl. ’86); Domenico Serra (cl. ‘92) e Andrea Ruffa (cl. ’94).
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L’appello della Dda
Il primo episodio per il quale la Procura ha presentato appello c’è l’estorsione commessa ai danni dell’imprenditore Farfaglia – nel 2009 – legato ad un cantiere riconducibile alla famiglia fra Vibo Valentia e Vena di lonadi. I giudici, infatti, hanno assolto i tre Andrea, Vincenzo e Salvatore Mantella perché il fatto non sussiste, osservando che «a fondamento della prospettazione accusatoria vi è unicamente la confessione di Andrea Mantella». Il tribunale, osserva l’Ufficio di Procura, ha rilevato che Mantella «nel descrivere i tratti programmatici dell’estorsione, ha offerto al Tribunale dettagli fra loro discordanti». I giudici, inoltre, hanno portato ad esempio che colui che avrebbe contrattato con Gregorio Gioffrè, eccentricamente definito “Ministro dei Lavori Pubblici” in dibattimento «Mantella ha dichiarato che sono stati i suoi cugini a interloquire con Gioffrè sebbene, in un primo momento, egli ha incoerentemente affermato di aver direttamente trattato con il “Nasone”». Per la Procura il Tribunale omette ogni considerazione in punto di credibilità soggettiva del collaboratore di giustizia mentre sul piano oggettivo le sue dichiarazioni «si presentano precise, chiare, scevre da contraddizioni di particolare rilevanza, nonché sostanzialmente convergenti nell’individuare nel proprio gruppo una cosca mafiosa all’epoca operante e predominante sul territorio vibonese». In sostanza, secondo l’iter argomentativo del Tribunale, posta l’ingerenza di Gregorio Giofrè alias “Nasone”, nella vicenda (circostanza non messa in discussione), la discrasia ricorrente tra gli interrogatori resi in sede di collaborazione e la testimonianza in dibattimento circa l’interlocutore primigenio del “Nasone” – che Mantella individuava nella prima sede in sé stesso e in dibattimento nei cugini Vincenzo e Salvatore – minerebbe irrimediabilmente la credibilità e attendibilità del Mantella sì da doverne escludere la sussistenza del delitto propalato. Ebbene, l’assunto non è in alcun modo condivisibile e trova oggettiva smentita nella (invece) lineare ricostruzione dell’estorsione rassegnata dal collaboratore.
L’Ased nel mirino
Spazio poi a uno dei punti centrali dell’intera inchiesta ovvero la tentata estorsione realizzata il 20 aprile 2016 ai danni dell’ASED Srl contestata a Francesco Antonio Pardea, Salvatore Morelli e Domenico Camillò, nei cui confronti i pm hanno chiesto l’assoluzione. L’Ufficio di procura in questo caso contesta l’erronea valutazione delle dichiarazioni del collaboratore Bartolomeo Arena. La sua testimonianza di Bartolomeo Arena nelle udienze del 9 e 16 settembre 2024, per i pm «fornisce uno straordinario contributo alla contestualizzazione della estorsione» da ricondurre all’azione degli appartenenti alla cosca Pardea-Ranisi. Secondo i pm, il Tribunale pure a fronte di elementi di riscontro e di indiscutibili riscontri esterni, «conclude asetticamente e senza alcuna logica motivazione per l’assenza di riscontri esterni, sconfessando gli esiti dell’istruttoria integralmente sovrapponibili alla deposizione di Bartolomeo Arena» che troverebbero riscontro, invece, nelle testimonianze rese rispettivamente da un operaio vittima della minaccia a mano armata e dal responsabile di cantiere della Ased perché, per la Procura, «la ricostruzione del fatto operata da Arena Bartolomeo de relato è perfettamente sovrapponibile in ogni elemento a quella resa dalle persone offese».
La “Dusty”
Altro pezzo importante dell’inchiesta, e quindi del ricorso della Procura, è la tentata estorsione pluriaggravata ai danni della “Dusty”, all’epoca dei fatti – agosto 2018 – ditta appaltatrice del servizio di gestione e smaltimento R.S.U. sulla città di Vibo, società con sede legale in Catania subentrata alla ASED s.r.l. Per questo capo d’imputazione sono stati tutti assolti, Domenico Macrì, Michele Manco, Domenico Serra e Andrea Ruffa (in concorso con Michele Pugliese Carchedi, giudicato separatamente). Il motivo? Per il Tribunale sono inattendibili e contraddittorie le dichiarazioni della persona offesa Gregorio Farfaglia (e dei suoi familiari) e, in secondo luogo, sono inidonei i video consegnati dalla persona offesa a fornire riscontri validi. Una decisione che «sorprende» l’Ufficio di Procura. Il Tribunale, infatti, a fronte della precisa ricostruzione del fatto rassegnata da Farfaglia e dai fratelli e corroborata dai testi di p.g. e dai video, reputa «illogico il propalato di Gregorio dove afferma che “eccentrica appare la condotta del Farfaglia, il quale, a differenza di quanto da lui sostenuto, si è trattenuto per diversi minuti a discutere con l’imputato» e, scrive il Tribunale, «stupisce la reazione sprezzante di Farfaglia, il quale, asseritamente destinatario di una minaccia con metodo mafioso, in tutta risposta “ride in faccia” al suo aggressore». Per la Dda «le conclusioni cui perviene il Collegio in ordine all’atteggiamento della vittima per escluderne l’idoneità probatoria sono distorte e gravemente illogiche, nonché contraddittorie con altro fondamentale passaggio motivazionale della sentenza che, con riguardo al Capo in esame, ne mina apertamente l’intima coerenza e organicità». Per la Procura, in buona sostanza, il Tribunale ha «arbitrariamente omesso e/o errato, invece, la valutazione degli elementi per concentrarsi parzialmente sulla qualità della testimonianza di Gregorio Farfaglia», viziata, peraltro, dal mal celato tentativo della persona offesa di «sottrarsi ad ogni contestazione concernente i rapporti con i Fiarè». La Distrettuale antimafia va oltre: pure ammessa (e non concessa) la inattendibilità parziale del Farfaglia «non escluderebbe comunque in assoluto la sussistenza della tentata estorsione di tipo mafioso».
«Omessa valutazione delle intercettazioni»
Ma c’è di più ed emergerebbe da quella che l’Ufficio di Procura definisce una «omessa valutazione delle intercettazioni oggetto di perizia» dalla quale emergerebbe proprio la figura di Gregorio Farfaglia oltre che dalle dichiarazioni dei collaboratori quando lo ritengono «soggetto vicino ai Fiarè e inserito storicamente nelle ditte attive nel settore di gestione del R.S.U.» nota alla consorteria Pardea-Ranisi, che ne orienta l’azione estorsi va nei suoi confronti. Gregorio Farfaglia era, secondo l’accusa, un soggetto conosciuto dalla criminalità organizzata «e “qualificato” per i membri della cosca Pardea-Ranisi da doversi “aggredire” economicamente per la sua collocazione operativa (e di fatto gestionale) in seno alle ditte dei rifiuti, costituenti obiettivi d’elezione del gruppo criminale».
Michele Manco e i “Pardea-Ranisi”
Occhi puntati sull’imputato Michele Manco, assolto dall’accusa di “condotta associativa” alla ‘ndrina Pardea-Ranisi. Per la Dda il collegio mette a confronto le due contestazioni associative nel processo “Rinascita-Scott” e in questo processo, per concluderne che, a fronte dell’irrevocabile accertamento della sua responsabilità per il delitto associativo contestato in “Rinascita-Scott”, la presente istruttoria «non avrebbe dimostrato invece la condotta di Manco nel segmento temporale successivo (dal 20.12.2019)». Ritenere cessata l’attività della cosca Pardea-Ranisi dopo il blitz Rinascita-Scott è un assunto «gravemente fallace e arbitrario» secondo la Dda perché «il vincolo associativo si interrompe solo in caso di recesso o esclusione, che devono essere provati» mentre «la carcerazione di (uno o più) affiliati ad una consorteria non ne determina automaticamente la cessazione». Per la Dda, dunque, «Michele Manco partecipa, in virtù del vincolo originario, allo stesso sodalizio (‘ndrina Pardea-Ranisi), che permane e sopravvive alla carcerazione dei suoi affiliati» mentre le condotte contestate a Manco «sono – evidentemente – due condotte distinte. Sorprende che il Tribunale non si avveda di ciò, indugiando inutilmente sulla distinzione tra contestazione aperta e chiusa», afferma la Dda.
La richiesta
La Dda, dunque, in riforma dell’impugnata sentenza, chiede «la condanna di tutti gli imputati per i reati rispettivamente ascritti, alle pene già richieste dal Pubblico Ministero in sede di conclusioni in primo grado», previa rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. (g.curcio@corrierecal.it)
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